Malgrado la siccità, l’olio d’oliva italiano resiste sugli scaffali svizzeri
Nonostante le sfide climatiche e la concorrenza spagnola, l'olio italiano continua a essere il preferito dai consumatori e dalle consumatrici svizzere. Il calo di un terzo della produzione di quest'anno non preoccupa le associazioni di categoria e i principali produttori, che rassicurano sul futuro del settore puntando sulla qualità e sulla sostenibilità della produzione.
Negli ultimi vent’anni, l’olio d’oliva si è affermato come condimento essenziale nelle cucine svizzere. Le importazioni sono più che raddoppiate in un ventennio, passando da circa 7 milioni di tonnellate nel 2000 a oltre 15 l’anno scorso. Che si tratti di insalate o zuppe, spesso vengono esaltati con un filo di extra vergine. Il consumo pro-capite è intorno ai due litri all’anno, ancora lontano dai dodici della Grecia e dagli otto dell’Italia ma l’interesse e le vendite sono in crescita, soprattutto per l’olio tricolore.
Quest’anno la raccolta è stata però particolarmente difficile e i primi dati forniti dai frantoi confermano le previsioni pessimistiche di settembre di ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) che stimava un calo della produzione del 32% rispetto all’anno precedente.
La siccità prolungata e le temperature elevate hanno infatti danneggiato la fioritura e l’allegagione, il periodo chiave in cui i fiori dell’ulivo si trasformano in olive. Inoltre, quasi sempre dopo un’annata positiva come quella passata, ne segue una di scarico in cui gli alberi producono di meno.
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Anche se si imbottiglia già il primo olio dai nuovi impianti delle zone colpite dalla Xylella, il netto calo di produzione fa scivolare l’Italia al quinto posto tra i paesi produttori, dietro Spagna, Tunisia, Turchia e Grecia. Ovviamente è presto per avere i dati definitivi ma ci sono regioni come la Sicilia e la Puglia, tra le principali produttrici di olio, che hanno già terminata la raccolta e segnalano un calo del 40%.
“Tanti olivicoltori hanno anche anticipato la raccolta perché così pur diminuendo la quantità di olio estratto, è migliorata la qualità”, rassicura Nicola Di Noia di UNAPROL, l’organizzazione di riferimento nel settore dell’olio d’oliva in Italia. Oltre a ciò, se da un lato il troppo caldo ha ridotto la quantità di olive, dall’altro ha contribuito a far sparire la mosca olearia, uno dei parassiti più temuti in olivicoltura, rendendo, secondo Di Noia, “memorabile” l’annata in corso.
Il mercato svizzero continua a preferire il Made in Italy
Nel 2023 la metà dei 15 milioni di kg di olio importati dalla Confederazione era di origine italiana, secondo i dati dell’Amministrazione federale delle dogane (AFD) ed anche nei primi otto mesi del 2024, l’Italia conserva il primato come principale fornitore di olio d’oliva in Svizzera con Monini tra i più venduti alla Migros e quello a marchio Naturaplan prodotto dalla pugliese Olearia Clemente da Coop.
Qual è l’olio che i consumatori e le consumatrici svizzere troveranno nei supermercati il prossimo anno? Coop conferma che, grazie ai rapporti di lunga data con i fornitori, riuscirà a garantire la disponibilità nonostante il calo di produzione in Italia, e che il nuovo olio arriverà all’inizio dell’anno. Dalla sede di Basilea indicano che anche se il prezzo generale dell’olio sia quasi raddoppiato dall’inizio del 2024 a causa del calo globale della produzione, si è registrato un aumento della domanda. Al contrario dell’Italia dove un recente sondaggio ha rivelato che per colpa dei rincari un terzo dei consumatori ha scelto oli ha scelto l’olio di semi e girasole.
Con la produzione d’olio d’oliva che rappresenta il 4% della produzione globale di oli vegetali i margini di crescita per il settore sono importanti. Anche per la Svizzera, dove il Ticino si conferma il cuore pulsante di questa attività. Sebbene i volumi siano bassi rispetto a quelli dei grossi paesi produttori, sempre più agricoltori e privati puntano sull’ulivo, con il supporto di associazioni locali.
Secondo Claudio Premoli dell’Associazione Amici dell’OlivoCollegamento esterno, la produzione è ancora limitata non solo per il basso numero di alberi, ma anche per la mancanza di infrastrutture in tutta la Svizzera. Attualmente, i frantoi sono solo in Ticino: a Losone, presso la Cantina Delea, e il frantoio di Sonvico, che chiuderà definitivamente in questi giorni. Dal prossimo anno, gli olivicoltori potranno portare le loro olive al frantoio AtenaCollegamento esterno, che aprirà a Coldrerio, integrandosi con le attività formative dell’Azienda Agraria Cantonale di Mezzana.
La raccolta di quest’anno è stata nettamente inferiore rispetto al 2020, anno record in cui furono raccolti 200 quintali di olive e prodotti 2000 litri di olio. Anche le rese sono state particolarmente basse, attorno al 5%, a causa un’estate con forti piogge fino a luglio ed un agosto caldo e secco che ha limitato lo sviluppo della polpa del frutto.
“Tuttavia, la qualità delle olive si è mantenuta alta grazie alla scarsa presenza della mosca dell’olivo, nonostante la cimice asiatica abbia provocato danni in alcune zone” dice Premoli.
In Ticino e Moesano sono stati censiti fino a settembre 9050 ulivi, ma si stima che ce ne siano almeno altri 2000 non registrati. Negli ultimi cinque anni l’associazione ha fatto da tramite per piantare 1200 nuove piante, con altre 300 previste per il prossimo autunno, quasi tutte di varietà Frantoio, Leccino, Pendolino e Maurino. È ormai frequente che agricoltori scelgano di sostituire i vigneti con oliveti, attratti dalla minor richiesta di lavoro e dall’uso ridotto di prodotti fitosanitari. Anche se la produzione è destinata principalmente all’uso domestico, l’olio ticinese, introdotto ufficialmente nel patrimonio culinario svizzero nel 2021, continua a crescere come prodotto di nicchia, venduto ad un prezzo tra i 40 e 90 franchi al litro.
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Il mercato globale
Il mercato dell’olio d’oliva assiste a una crescente consolidazione ed è dominato da pochi grandi gruppi. Ad eccezione di Monini, l’unico colosso italiano, la maggior parte dell’imbottigliamento e della distribuzione è in mani estere, soprattutto spagnole.
Infatti, è nel paese che produce in modo intensivoCollegamento esterno il 40% dell’olio al mondo e che si appresta a chiudere una raccolta record che ha sede Deoleo, la più grande azienda produttrice di olio al mondo. La multinazionale con quartier generale a Madrid ma di proprietà del fondo d’investimento inglese CVC Capital Partners controlla marchi storici italiani come Bertolli, Carapelli e Sasso, quasi tutti imbottigliati in Andalusia e distribuiti ovunque, incluso in Svizzera.
Un altro grosso marchio come Filippo Berio, disponibile sugli scaffali della Coop, ha sede in Toscana ma seleziona oli da tutti i paesi del Mediterraneo, e da dieci anni è di proprietà di Bright Food, una società controllata del governo cinese.
Tutto questo è possibile perché la regolamentazione europea consente che oli prodotti al di fuori dell’Italia possano essere venduti con marchi italiani, a condizione che l’etichetta riporti correttamente l’origine del prodotto. Quindi solo quando è specificato “100% italiano” o “Prodotto in Italia” si tratta di olio molito in Italia con olive italiane.
Per salvaguardare l’autenticità dei 43 oli DOP e dei 5 IGP, che rappresentano solo il 5% della produzione italiana ma eccellono nelle esportazioni sono state da poco introdotte etichette speciali realizzate dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (IPZS). Ideate anche per assicurare la tracciabilità degli oli extravergine di oliva DOP e IGP, saranno applicate sui tappi delle bottiglie ed avranno un codice QR per ottenere informazioni sul prodotto e sul produttore.
“Noi siamo per la trasparenza delle etichette ma anche per la consapevolezza dei consumatori e chiediamo controlli severi per chi dichiara che è olio italiano e non lo è”, dice Di Noia, che dirige a Roma una scuola Collegamento esternofondata per diffondere la cultura dell’olio.
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“La sfida è fare qualità in grandi volumi”
Da oltre trent’anni sul mercato svizzero, Monini è leader con una bottiglia su cinque venduta.
Con 195 milioni di fatturato ed una produzione di 23 milioni di litri di olio extravergine, è il primo produttore di olio italiano. “Il mercato svizzero è cruciale per noi perché il consumatore è sensibile alla qualità del prodotto,” spiega Umberto Villa, responsabile export per Monini. “A continuare a crescere è soprattutto il biologico, che rappresenta circa il 20% delle nostre vendite”.
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L’olio extra-vergine confrontato con il controllo qualità
Il calo della produzione non preoccupa Villa, ma l’aumento del costo della materia prima sì.
“Per chi produce quasi tutto 100% italiano come noi, in Svizzera sarà più dura rispetto agli altri anni perché il divario tra il prezzo dell’olio spagnolo, molto abbondante quest’anno, e quello italiano si amplierà ulteriormente”, spiega.
L’azienda di Spoleto ha uliveti di proprietà in Puglia, Umbria e Toscana e ha stabilito contratti di filiera con agricoltori italiani per selezionare le migliori qualità da imbottigliare. Tuttavia, questo non basta a soddisfare neanche la domanda del mercato interno. Nel 2022, prima dell’anno nero per la produzione globale, le importazioni italiane di olio d’oliva, principalmente dalla penisola iberica, hanno raggiunto un valore record di oltre 2,2 miliardi di euro. Per ridurre la dipendenza dall’estero, Monini ha deciso di piantare un milione di ulivi entro il 2030 in tutto il Paese (700’000 sono già stati messi a dimora), tutti gestiti in regime biologico. “In Italia produciamo un’ottima qualità, spesso in piccoli quantitativi. La vera sfida è fare qualità in grandi volumi,” conclude Villa.
Dino Clemente, di Olearia Clemente, non è preoccupato invece per i prezzi più alti dell’olio extravergine italiano rispetto a quello spagnolo e punta sulla fedeltà dei consumatori. “L’olio italiano continuerà a mantenere il suo mercato di riferimento per coloro che cercano un prodotto di alta qualità, grazie alla presenza di piccole produzioni sostenibili e di oltre 500 cultivar, mentre la Spagna ne ha solo 50”.
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