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La crisi attuale potrebbe favorire il reddito di base

Dimostrazione a Zurigo a favore del reddito di base nel 2016.
Dimostrazione a Zurigo a favore del reddito di base nel 2016. © Keystone / Ennio Leanza

Chiamarlo "Bürgergeld", con un tocco di tranquillizzante familiarità, non è bastato per varare in Germania il "reddito di cittadinanza". Dopo il via libera la scorsa settimana del Bundestag, la ricetta sociale non ha ottenuto la maggioranza ieri, lunedì, alla camera dei Länder, il Bundesrat. 

La proposta consisteva in un sussidio mensile di 502 euro destinato ai disoccupati di lunga durata. Per l’assegno sociale si apre ora la stretta via del compromesso da parte delle due camere in un Paese che ha un tasso di senza lavoro stabile al 3% (dato Eurostat di settembre). Tanto per dire che spazi per mirare ancora più alto con un “reddito di base incondizionato”, al di là del Reno, oggi non se ne vedono. E in Svizzera?

Una svolta condizionata

I tempi parrebbero propizi per cambiare le politiche sociali. Ne è convinto Sergio Rossi, professore ordinario di macroeconomia ed economia monetaria all’Università di Friburgo: “La crisi sanitaria scaturita dalla pandemia, la guerra in Ucraina con la conseguente crisi energetica, la crisi climatica globale e quella alimentare nei paesi africani potrebbero rappresentare una ‘tempesta perfetta’ per una svolta a medio termine anche sul piano delle politiche sociali”. Il professore universitario fa riferimento diretto al “reddito di base incondizionato, il cui versamento ridarebbe slancio all’economia e alla società nei Paesi che decideranno di compiere una simile svolta nell’interesse generale”.

Se il “reddito di cittadinanza” fatica ad imporsi, non sembra passarsela meglio il “reddito di base incondizionato”. “Al riguardo c’è molta confusione. Esiste una differenza sostanziale tra i due – ricorda Rossi – . Il primo è una sorta di assicurazione contro la disoccupazione di cui possono beneficiare solo le persone disoccupate, mentre il secondo è un reddito universale, vale a dire che è versato a qualsiasi persona residente nello spazio economico considerato, sia esso una città, una regione o una nazione intera”.

La Confederazione ha detto di no una prima volta il 5 giugno 2016, quando l’iniziativa popolare “Per un reddito di base incondizionato” venne bocciata dal 77% dei votanti e da tutti i Cantoni. Allora non sembrò bastare un’agevole raccolta delle 100’000 firme necessarie. Nell’ottobre 2013 ne furono depositate 126’701 (di cui 126’408 furono ritenute valide).

I pregiudizi su un’idea che torna

“In Svizzera, come in diversi altri Paesi – dice l’economista ticinese -, molti pensano che chi non ha un lavoro retribuito non meriti di ricevere un reddito garantito, in quanto si tratta di persone considerate poco motivate a fare degli sforzi per guadagnarsi un reddito nel mercato del lavoro”. In realtà, continua Rossi, “il lavoro non retribuito fa parte della nostra società, basta pensare al lavoro svolto in un’economia domestica, per la cura dei figli o dei familiari molto anziani, e nel volontariato: tutto ciò permette a chi svolge un’attività professionale di avere maggior tempo da dedicarvi e di aumentare la produttività”.

“Il lavoro non retribuito fa parte della nostra società, basta pensare al lavoro svolto in un’economia domestica”

Sergio Rossi, economista

La bocciatura nel giugno 2016 non ha significato una resa. L’idea è tuttora sul tavolo con l’iniziativa popolare federale “Vivere dignitosamente – Per un reddito di base finanziariamente sostenibile”, che però arranca: finora sono state raccolte circa 56’000 firme e il termine scade il 21 marzo 2023. Come mossa quasi disperata i promotori, come riferito dal Blick, hanno lanciato un concorso: chi porterà almeno tre firme parteciperà a un sorteggio con in palio mille franchi.

A livello locale meritano di essere citati altri due tentativi. Nel 2018 a Rheinau, un comune di 1’300 abitanti nel Canton Zurigo, tutto era pronto per sperimentare per un anno un reddito di base in sostituzione delle prestazioni sociali. Nel concreto gli over 25 avrebbero ricevuto 2’500 franchi al mese, una somma inferiore gli under 25. Non se ne fece nulla, poiché il crowdfunding mancò l’obiettivo dei 6,1 milioni di franchi necessari alla sperimentazione.

Sono invece stati gli elettori della città di Zurigo a bocciare, lo scorso 25 settembre, l’iniziativa popolare per un progetto pilota scientifico di reddito di base. Il test della durata di 3 anni avrebbe coinvolto 500 persone, che avrebbero ricevuto da 2’500 a 3’000 franchi mensili. L’idea è stata bocciata dal 54% dei votanti. A chi vuole vedere il bicchiere mezzo pieno, un passo in avanti rispetto al 63,4% che si oppose a Zurigo nella votazione federale del 2016.

Il finanziamento del reddito di base

La volontà di ottenere una ridistribuzione più inclusiva della ricchezza rimane attuale e la formula proposta viene affinata. Rispetto alla modifica della Costituzione federale proposta nel 2016, con un articolo che non forniva indicazioni sul finanziamento del reddito di base, l’iniziativa “Vivere dignitosamente” precisa lo scopo: “Contribuire a preservare e sviluppare le assicurazioni sociali”. Ma anche i mezzi: “Sono tassati adeguatamente il settore finanziario e le imprese del settore tecnologico ed è sgravata l’attività lucrativa”. Basterà?

“Trattandosi di una proposta molto innovativa e radicalmente diversa dall’attuale sistema di assicurazione sociale è normale – secondo il professor Rossi – che molte persone siano reticenti ad aderire a questa iniziativa popolare”. Un reddito di base incondizionato, per il macroeconomista, “favorirebbe la creatività e lo spirito imprenditoriale, in quanto garantirebbe un reddito minimo a vita, anche se il progetto dovesse fallire. Inoltre permetterebbe di aumentare la quota di giovani con un titolo di studio superiore, perché eliminerebbe per molti studenti la necessità di avere un’attività remunerata per pagarsi gli studi”.

L’aspetto su cui però Sergio Rossi insiste, da un lato, è quello delle fonti di finanziamento del reddito di base: “Il testo dell’iniziativa menziona anche le attività finanziarie, le imprese attive nel campo delle tecnologie digitali e i redditi da capitale, allo scopo di alleggerire il carico fiscale che pesa sulle piccole o medie imprese nella cosiddetta economia reale”. Dall’altro, “ciò non significa che si potrà vivere alle spalle della collettività, ma che il reddito di base contribuirà a risolvere i problemi di finanziamento delle assicurazioni sociali esistenti, in quanto il reddito nazionale sarà ridistribuito in modo tale da creare una maggiore coesione sociale e anche una maggiore propensione al consumo che sosterrà le attività economiche legate al territorio”. È il famoso circolo virtuoso.

Nubi all’orizzonte

Se sarà, non sarà per domani, e nemmeno per dopo. “Per l’attuazione di una riforma strutturale del sistema delle assicurazioni sociali occorrerà molto tempo, come del resto è successo con la stessa AVS in Svizzera”. Di sicuro, secondo il professore, è corretto far partecipare al finanziamento della svolta le transazioni finanziarie e le imprese tecnologiche “che spesso e volentieri sfuggono a qualsiasi onere fiscale”.

Una riforma così radicale, conclude, “sarà tanto più accettata quanto più la situazione economica e finanziaria aggraverà le condizioni di vita di numerose persone, con fallimenti, licenziamenti e difficoltà per le finanze pubbliche”. Insomma non sarà per domani, ma a dettare i tempi potrebbero essere i fattori di tempesta evocati all’inizio.

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