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Perché gli USA non sono sull’orlo di una guerra civile

L'ingresso degli Stati nell'Unione Limes

Ascoltando e leggendo i media, soprattutto internazionali, si ha l'impressione che gli Stati Uniti siano a un passo da una nuova guerra civile. In seguito all'uccisione di due giovani afroamericani da parte della polizia e di cinque agenti per mano di un veterano di colore, la superpotenza pare scossa da uno scontro armato di matrice razziale. Eppure, scavando nelle dinamiche demografiche e strutturali del paese, si comprende che non può esistere una reale battaglia tra bianchi e neri. E che si tratta piuttosto del riaffiorare di un razzismo di tipo carsico, esacerbato dal carattere violento della società d'Oltreoceano. Perché a influire sulla traiettoria dell'America è oggi soprattutto l'ascesa degli ispanici.

In questa fase la maggioranza bianca degli Stati Uniti si mostra assai inquieta, specie la classe media, sua declinazione più tipica. Colpita dagli effetti collaterali della globalizzazione, dagli strascichi dell’ultima crisi finanziaria e insidiata da segmenti demografici più giovani e prolifici, si affida al populismo di imprenditori politici che promettono di proteggerla dal proprio declino. Attraverso l’isolazionismo, il protezionismo e una inedita estensione del welfare. Su tutti Donald Trump, che in questi mesi si è ripetutamente scagliato contro gli ispanici, rei a suo avviso d’aver depauperato lo stile di vita degli americani e d’aver inquinato la cultura nazionale. Non è un caso. I latinos sono di gran lunga il ceppo etnico in maggiore espansione del paese e già adesso costituiscono circa un quarto della popolazione. Inoltre sono divenuti oggetto del desiderio di entrambi i partiti d’America che, in ottica futura, ne percepiscono lo straordinario peso elettorale.

Al contrario, gli afroamericani non rappresentano una minaccia per la popolazione di origine europea. Nonostante la celebrata elezione di Barack Obama, restano molto lontani dalla parità economica e sociale. Come palesato dal tasso di disoccupazione che si attesta tra i bianchi al 4,4%; tra gli ispanici al 5,6% e tra i neri al 9%. Anche a livello elettorale gli afroamericani non costituiscono un premio pregiato, visto che votano in stragrande maggioranza per i democratici.

Ne deriva che gli ultimi eventi non sono il frutto di una lotta senza quartiere per aggiudicarsi il futuro del paese. Come accaduto invece a inizio del secolo scorso, quando attraverso intimidazioni e ostracismo i caucasici provarono a esautorare i negroes dei diritti formalmente acquisiti in seguito alla guerra di secessione.

La violenza di questi giorni origina semplicemente dall’atavico razzismo di alcune frange della popolazione, riemerso a causa della brutalità media dei poliziotti statunitensi e della facilità per i cittadini di procurarsi le armi. A dispetto di qualsiasi allarmismo, non stiamo assistendo a sconvolgimenti di natura sociale e demografica. Né tantomeno al tentativo di un ceppo demografico di colpirne un altro. Mancano i presupposti per innescare un tale processo. Perché le difficili condizioni in cui versano gli afroamericani e il diffuso pregiudizio nei loro confronti possono provocare episodi di disperata violenza, ma non la lotta per la conquista di quote di potere.

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