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Virginia e Giuliano: sotto l’albero niente

ANSA

C'è una gran voglia di lasciarsi alle spalle questo 2016, anno bisestile. Anno bisesto, anno funesto, dice la famosa battuta. Io condivido la leggera correzione di un illustre filosofo che, probabilmente per evitare la derisione di seriosi colleghi, disse: "non sono superstizioso, ma non si sa mai". Forse non a caso era napoletano, dunque conoscitore del presepe partenopeo di via San Gregorio Armeno, dove, in un misto di religiosità popolare e scaramanzia, regna l'idea del contrasto alla jella, e in cui offrono insistentemente anche dei "corni portafortuna collaudati" (non si sa come). Visto come vanno le cose, ci farei volentieri una "filosofica" capatina.

Nell’Italia di fine anno, due personaggi si stagliano, e un po’ simbolicamente ci riassumono ciò che sono stati i 366 giorni politici e travagliati che l’Italia si prepara ad abbandonare per un nuovo anno che ingloba comunque anche il numero 17 ( accipicchia, ci risiamo?). Si intersecano, le due figure, proprio in quello che è e sarà il principale duello che le vicine elezioni anticipate (ma chissà quanto è vero che tutti le vogliano disperatamente): il gran duello fra Partito democratico e Movimento Cinque stelle.

Inevitabilmente più fragorosa e politicamente indicativa la vicenda di Virginia Raggi, la sindaca pentastellata di Roma, salita sul trono della capitale con un risultato eccezionale, quasi il settanta per cento dei voti. Una valanga di consensi, a testimonianza del discredito che è piombo sulle ali bucate di tutti gli altri partiti. E un test decisivo a livello nazionale: se riesci a governare Roma, puoi certo governare l’Italia. E cosa ci dicono i primi sei mesi? Che siamo praticamente al disastro. Fatta la tara sull’inesperienza della giovane Raggi e del M5S, il bilancio è vertiginosamente negativo. Non perché non abbia fatto, o potuto fare, ancora nulla. Ma perché di ciò che ha fatto per poter governare la città eterna, non si salva praticamente nulla. Scelte sbagliate dei collaboratori, dimissioni a cascata degli assessori, conflitti di interesse, interventi della magistratura, fino all’arresto per corruzione e mega-mazzette del suo principale collaboratore: il molto chiacchierato e sospettato Raffaele Marra, già con Alemanno, primo sindaco postfascista del dopoguerra, e inquisito. 

Esile e apparentemente fragile, la Virginia comunque sempre in perfetta posa per telecamere e fotografi. In realtà tetragona e testona, soprattutto con chi (e pare siano stati molti) le dà qualche buon consiglio. Insomma, ha sbagliato di brutto e ci ha messo quasi tutto del suo, nonostante l’inevitabile lamentela di una base Cinque stelle che sulla rete privilegia la facile tesi del complotto. Lezione per Beppe Grillo: è sicuro di aver individuato, affidandosi al web, il buon metodo per selezionare una classe dirigente diversa e sufficientemente preparata? O gli fa comodo mantenere le cose come stanno, per poter continuare a imporre la sua volontà?

Col secondo personaggio di fine anno, Giuliano Poletti, il PD ministro del lavoro, misteriosamente riconfermato dal governo Gentiloni, si entra invece nel campo del patetico. Parla dei giovani e dei cervelli in fuga e si lascia andare ad una affermazione semplicemente scema: “Alcuni è meglio non averli fra i piedi”. Inutile, poi, chiedere scusa per l’infelicissima battuta sull’esercito di ragazzi che per garantirsi un lavoro devono espatriare dal Paese che registra un tasso di disoccupazione giovanile che di media supera il quaranta per cento, e nel Mezzogiorno il sessanta per cento. Il rubicondo Poletti, ex gran capo delle Coop ‘rosse’ ha del resto un robusto pedigree di cavolate; e intanto si scopre che un suo figlio ultraquarantenne, e “in attesa di dare ancora alcuni esamini universitari”, dirige un giornale che esiste solo grazie a generosi sussidi statali. E se papà lo spedisse a formarsi all’estero? Comunque, il caso Poletti si aggiunge al rosario degli errori che hanno trascinato nella polvere il partito dei renziani spocchiosi e sprovveduti.

Quindi, per Virginia e Giuliano, sotto l’albero di Natale niente. E stavolta non è sicuramente il caso di scomodare l’ “anno bisesto”.

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