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Come l’italianità ha plasmato la Svizzera

Pizza a forma di croce
Rivisitazione di un classico della cucina italiana in occasione della Festa nazionale svizzera del primo agosto. Keystone / Obs/neapolis - Le Taverne Di Luc

Gli italiani sono spesso presentati nella Confederazione come un modello di integrazione riuscita. Ma come quasi sempre accade, il movimento non è stato a senso unico. Anzi. La Svizzera è stata a sua volta modellata dall'italianità.

Scendendo da un treno alla stazione centrale di Zurigo, una delle prime cose su cui si incappa è una leggendaria Ape trasformata in ‘food truck’, sponsorizzata da una conosciuta marca di caffè italiana.

Un aneddoto, certo, ma che dà comunque un primo indizio su quanto la cultura italiana in senso lato sia ormai radicata anche in quelle regioni della Svizzera in cui non si parla italiano.

Chi avrebbe mai potuto immaginare fino a qualche decennio fa – come ricorda la sociologa Irene Pellegrini in un articolo pubblicato dal giornale AreaCollegamento esterno – che in Argovia “la sagra si sarebbe trasformata in ‘Spaghetti-Plausch’ [letteralmente una chiacchierata attorno a un piatto di spaghetti, ndr], dove si combinano il simbolo dell’arte culinaria del Belpaese con la zucca più marcatamente d’uso nella cucina elvetica”?

Probabilmente nessuno. E se qualcuno solo una cinquantina di anni fa avesse osato proporre di abbinare le due cose, sarebbe stato considerato dagli argoviesi Doc alla stregua di un traditore della patria.

Sì, perché come ricordava lo scrittore Raymond Durous in un libro di testimonianze pubblicato nel 2010 intitolato “Des Ritals en terre romande“, “alcuni decenni fa, lo straniero, il corvaccio, l’uomo col coltello era l’italiano […], il capro espiatorio responsabile di tutto ciò che non funzionava bene in Svizzera, che doveva solo lavorare e chiudere la bocca”.

Da allora, ne è passata di acqua sotto i ponti. Lo sgradito posto del ‘corvaccio’ è stato preso via via e in ordine sparso da tamil, portoghesi, cittadini della ex Yugoslavia, poi da un più generico ‘idraulico polacco’ e infine, negli ultimi anni, da altrettanti generici migranti provenienti dal continente africano e da paesi di religione musulmana.

Un posto al sole

L’italiano e con lui l’italianità hanno invece conquistato un posto al sole. Esprimersi nella lingua di Dante, magari gesticolando vistosamente, ordinare un espresso o pavoneggiarsi con vestiti  griffati del Belpaese non sono più state delle tare. Anzi.

Come spesso accade – con buona pace di tutti coloro che oggi e in passato hanno sventolato lo spauracchio di una presunta invasione e di una perdita dei valori supposti tradizionali – il tempo è galantuomo. Pur con non poche difficoltà e a volte con dei passi indietro, l’integrazione ha funzionato.

Un’integrazione che non è stata a senso unico. La Svizzera è stata a sua volta trasformata dal movimento migratorio che nel Dopoguerra ha visto arrivare sul suo territorio centinaia di migliaia di italiani. Certo, il terreno era particolarmente fertile, poiché la cultura e la lingua italiana fanno parte da secoli della storia della Confederazione. Senza ombra di dubbio, però, i circa 300’000 svizzeri che vivono nelle regioni in cui si parla italiano non avrebbero potuto da soli instillare a tal punto l’italianità nei cantoni della Svizzera tedesca e francese.

Lingua, cucina e tant’altro

Un’italianità che si manifesta non solo attraverso la lingua (nei cantoni germanofoni e francofoni vivono più persone che parlano italiano che in Ticino e nel Grigioni italiano) e le abitudini culinarie, ma anche in tutta una serie di ambiti forse un po’ meno appariscenti.

Ad esempio, nel mondo sindacale, che è stato fortemente modellato dalla manodopera e dai militanti italiani. Ma anche in ambito culturale ed economico. Uno dei fiori all’occhiello dell’economia elvetica – il settore orologiero – non sarebbe stato sicuramente lo stesso senza l’apporto dei lavoratori e soprattutto delle lavoratrici italiane.

In questa serie, vi proponiamo un viaggio a parole e in immagini nell’italianità della Svizzera.

Per prima cosa andremo a Ginevra, a visitare la Scuola Dante Alighieri, che da decenni è uno dei punti fermi per la diffusione della lingua italiana all’estero. Poi, visiteremo Neuenhof, comune del cantone Argovia che ha la più alta percentuale di residenti con la cittadinanza italiana nella Svizzera tedesca e francese. Via via la lista qui sotto si completerà con altri reportage.

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