Sulle orme dell’Arca
Il Safina project conquista l'Academy Ocean Space della Biennale di Venezia e propone una nuova via per aiutare fiumi e mari.
Andava, dal 2012, sulle orme dell’Arca di Noé ed è riuscito, dieci anni dopo, a vederla e, re-immaginandola, a realizzarla passo dopo passo.
Rashad SalimCollegamento esterno è un artista iracheno, figlio d’arte, ma nelle sue vene scorre anche del sangue nord-europeo, per via della madre tedesca. Esperto di arte e artigianato iracheno applicato alla vita quotidiana, viaggiando in Mesopotamia, sul Tigri e sull’Eufrate in una rara spedizione sui fiumi con barche di produzione locale dieci anni fa, si è chiesto: e se l’arca di Noè non fosse stata quella che tutti descrivono, ossia un galeone di legno? In che modo, nell’era pre-abramitica, la gente dei fiumi li navigava?
La risposta Rashad l’ha trovata in Mesopotamia: qui le barche erano e sono ancora piccole padelle fatte di corda oppure imbarcazioni, fatte con giunchi, canne e legni, molto simili alle gondole veneziane. “Bisognava fare un’operazione eretica: negare i testi sacri per andare oltre”, dice Rashad.
Così ha ricostruito cosa potesse essere l’arca: un cluster esagonale di barche circolari, replicabile all’infinito, a seconda della necessità di trasporto. La sua capacità di visione e di ricerca è stata premiata e il suo Safina project Collegamento esternoè entrato a far parte dei progetti sostenuti e finanziati dalla Biennale di Venezia nell’Academy Ocean SpaceCollegamento esterno.
La prima fase del progetto prevede anche la comparazione tra l’arte della navigazione sui canali veneziani e sui canali della Mesopotamia. L’obiettivo finale, a parte la ricostruzione dell’arca su scala reale, è ancora superiore. Dice Rashad Salim: “Viviamo nell’era delle plastiche, dove il cambiamento climatico ha avuto e sta avendo un impatto devastante su ecosistemi fragili come le paludi.
Ma mentre Venezia è riuscita in parte a preservarsi, l’area dello Shatt al-Aarab e delle paludi irachene intorno a Bassora è stata devastata prima dagli interramenti imposti da Saddam Hussein, poi dall’inquinamento. Dobbiamo coinvolgere i giovani e fare capire loro l’importanza e il recupero del passato per preservare natura e bellezza”.
Il progetto sta già facendo riscoprire agli iracheni l’arte della manifattura delle barche tradizionali e del calafato, praticata con materiali poveri e molto locali.
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