Il terremoto in Irpinia e l’etica di Walter Bonatti
Terremoti concreti, terremoti morali e i principi etici della conquista di un obiettivo. Sono i temi trattati in "Apparire o essere" di Donato e Maria Sperduto, un libro che racconta due vite: quella dell'alpinista ed esploratore Walter Bonatti e quella dello stesso Donato Sperduto, oggi insegnante di italiano presso il liceo di Sursee, nel canton Lucerna.
“La sera del 23 novembre 1980 mi trovavo a San Fele, in provincia di Potenza, e con la mia famiglia stavo guardando Juventus-Inter su Rai 2 che ogni domenica faceva vedere la partita più importante del Campionato. Quando una pallonata ha colpito la traversa, questa si è messa a tremare e nello stesso momento anche i vetri delle nostre finestre, il tavolo e le sedie in casa nostra hanno cominciato a muoversi”.
“Apparire o essere? Da Walter Bonatti al terremoto del 1980” edito da EditricErmes, scritto a quattro mani da Donato e Maria Sperduto, racconta vita di Donato Sperduto, immigrato italiano in svizzera e superstite del terremoto in Irpina del 1989 e quella di Walter Bonatti, famoso esploratore ed alpinista italiano, deceduto nel settembre del 2011. Il volume è corredato da riflessioni sui valori della vita e da disegni di Maria Sperduto.
Per un momento Donato Sperduto, che allora aveva undici anni, si è chiesto come fosse possibile che quel tiro si avvertisse fino al suo paese. Poi le grida hanno dissipato i dubbi: “È un terremoto”.
Sono istantanee di ricordi dolorosi quelle che ci descrive il professor Sperduto. Dettagli che raccontano l’enorme tragedia del sisma in Irpinia. A partire da quella fontana fuori casa a cui aveva provato ad aggrapparsi per tenersi fermo e capire cosa stesse succedendo attorno a lui. “Ma anche la fontana si muoveva a destra e sinistra, su e giù”.
Oppure l’immagine del furgone da cui è sceso un impiegato del comune portando, dopo tre giorni, i primi aiuti: un chilo di pasta e un litro di latte per famiglia.
O ancora le parole del presidente della Repubblica Sandro Pertini, parole di rabbia per la lentezza dei soccorsi. Che poi sono arrivati, ma quando ormai era troppo tardi. “I circa 3’000 morti sono dovuti proprio a questo. Molte persone si sarebbero potute salvare se ci fossero stati i macchinari e le attrezzature adeguate, che all’epoca non c’erano e se c’erano non funzionavano o erano nelle mani sbagliate”.
PLACEHOLDERSono ricordi che Donato Sperduto narra nel libro “Apparire o essere? Da Walter Bonatti al terremoto del 1980”, scritto a quattro mani con la moglie Maria. Un libro che parla di due vite, quella dello stesso Sperduto e quella del famoso alpinista ed esploratore Bonatti. Ad accumunarle: il terremoto e i valori esistenziali.
Il K2 e Sursee
Quello di Bonatti è stato un terremoto esistenziale provocato dalla terribile esperienza vissuta nel 1954 sul K2, quando fu obbligato a passare una notte all’addiaccio a 8’000 metri di altitudine a causa del tradimento dei suoi compagni di scalata, Lino Lacedelli e Achille Compagnoni. Questi, per non condividere il merito dell’impresa, non allestirono il rifugio nel luogo pattuito in precedenza con Bonatti il quale, con Amir Mahdi, si era separato dal gruppo per andare recuperare delle bombole d’ossigeno al campo situato più in basso.
“È stato un momento decisivo della sua vita che gli ha fatto decidere a che valori bisognava attenersi, valori che io personalmente condivido”, spiega il professor Sperduto. “Per Bonatti scalare una montagna richiede un’etica. Non vale il principio che il fine giustifica i mezzi. Per raggiungere uno scopo bisogna avere una morale. È un principio che ha seguito durante tutte le sue formidabili imprese come alpinista ed esploratore. E questo vale anche per me. Il suo terremoto è stato nel ’54, il mio nel 1980 e poi nell’ ’81, in Svizzera”.
Il giovane Donato dopo il sisma si è infatti ritrovato catapultato a Sursee, nel cantone Lucerna dove era già presente una discreta comunità di sanfelesi emigrati.
“Io vivevo in campagna, dove le strade non erano ancora asfaltate. In Svizzera invece c’era asfalto dappertutto. Mi sentivo come il ragazzo della via Gluck”, raccontaCollegamento esterno.
A questo spaesamento si aggiungeva quello provocato dalla lingua e dalla diffidenza della popolazione autoctona nei confronti degli italiani, diffidenza che sfociava non di rado nella xenofobia. “Ai tempi ‘italiano’ era un termine dispregiativo, oggi non è più così”.
Con il consolato d’Italia, le autorità locali istituirono una scuola a Sursee per una trentina di giovani terremotati, “un rifugio che ci proteggeva dal mondo esterno e ci insegnava la lingua come mezzo per agevolare l’integrazione”, ricorda Sperduto. Ma non era comunque facile. “Imparavamo il tedesco, ma quando andavi per strada la gente parlava un’altra lingua, lo Schwitzerdütch. Questo rendeva l’integrazione ancora più complicata. Ancora oggi è così, figuriamoci all’epoca!”
Anche a causa delle difficoltà delle famiglie a inserirsi nella società elvetica, molti dei compagni di scuola di Sperduto sono tornati dopo pochi mesi in Italia. Altri, che avevano perso tutto in patria o si erano meglio integrati, sono rimasti in Svizzera. È stato questo il caso di Donato Sperduto, a cui ha dato una mano inizialmente uno dei docenti della scuola che aveva servito come guardia pontificia in Vaticano e parlava l’italiano.
Dopo il terremoto fisico e spirituale, il destino gli ha regalato anche gioie che altrimenti non sarebbero mai divenute realtà, come l’incontro con la moglie e la carriera di docente. “Sono stato accolto in una scuola a Sursee, dove oggi insegno”, conclude il professore. “È stato proprio un regalo del caso”.
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