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Una piccola Molenbeek che fa paura a Milano

In alcune zone di Milano, la convivenza tra popolazione locale e immigrati musulmani non va da sé. Keystone

Violenza, spaccio di droga, prostituzione, occupazione abusiva di alloggi e precariato, espressioni di un quartiere in cui è massiccia la presenza islamica. Gli immigrati arabi sono una comunità chiusa: è forte la diffidenza verso gli italiani – I luoghi di preghiera illegali ci sono, ma non se ne vuole parlare. Reportage del Corriere del Ticino nella zona di San Siro.

È un grigio lunedì sera di fine gennaio e in via Zamagna una piccola squadra di operatori ecologici è ancora intenta a sbaraccare quello che è rimasto del mercato rionale: cassette di legno e di cartone accatastate lungo i marciapiedi, avanzi di frutta e verdura, involucri di carta e di plastica.

Parigi, Bruxelles, Nizza e Berlino: la serie di attentati terroristici compiuti in Europa negli ultimi due anni è lunga. Spesso vi è un denominatore comune. I responsabili sono cresciuti o hanno trovato sostegno nei quartieri periferici delle grandi città dove l’islam è spesso di matrice salafita e wahabita.

Se la spirale del fondamentalismo non ha confini, cionondimeno, ha un humus comune: quartieri come Molenbeek a Bruxelles o le cittadine di Dinslaken (Nord Reno-Vestfalia) e Hildesheim (Bassa Sassonia), sono considerati incubatori di potenziali combattenti del jihad.

Anche in Italia, da qualche anno, l’Antiterrorismo si cimenta quotidianamente con le zone più a rischio. A Milano il quadro è preoccupante in zone come viale Padova e San Siro, nell’area delle case popolari che trovano il loro sbocco principale su piazzale Selinunte. Da via Abbiati a via Preneste, da via Paravia a via Civitali, da via Zamagna a via Tracia, il degrado è pronunciato: vi si segnalano violenza, spaccio, prostituzione, occupazione abusiva di alloggi.

Ed è anche a qualche chilometro da qui, a Sesto San Giovanni, che il 23 dicembre scorso un poliziotto ha ucciso Anis Amri, l’attentatore di Berlino che quattro giorni prima aveva compiuto la strage al mercatino di Natale lanciano un TIR in mezzo alla folla (12 morti e 56 feriti).

I rifiuti, come ogni inizio settimana, finiscono poi nella pancia meccanica del camion del servizio comunale che accompagna gli uomini con la divisa fluo e spazza le strade. Fa freddo. E in giro, all’imbrunire, c’è poca gente. «Più è tardi e più qui si evita di uscire di casa». Un anziano imbacuccato nel suo cappotto, che cammina lentamente davanti ad un edificio di via Micene, sembra quasi sollevato a poter parlare in italiano nel cuore del quartiere popolare di San Siro, quello che i binari del tram di via Stratico e via dei Rospigliosi dividono dalla più ricca ma omonima zona residenziale. «Lo sapete? C’è da avere paura, noi altri (gli italiani, n.d.r) siamo rimasti in pochi. Oggi qui sono tutti musulmani: marocchini, tunisini, egiziani. Ormai comandano loro, non mi faccia dire altro».

Chi abita da queste parti lo sa bene. La zona popolare alle spalle del Meazza, negli ultimi anni, è balzata sempre più agli onori delle cronache per tutta una serie di vicende che si riassumono con pochi crudi termini: degrado e criminalità.

«Siamo in una delle zone rosse di Milano», ci racconta sconfortata la titolare del bar «la Nuova Genzianella» in via Paravia. «Da quel lato della strada, dopo le 20 c’è il coprifuoco», afferma. E aggiunge: «Li vede quei caseggiati là in fondo? Sono appena stati occupati da nuovi abusivi. Qualche volta sono arabi, altre volte zingari o rumeni. È un continuo».

Nessuno, qui, pare farci più tanto caso. Tra i pochi autoctoni rimasti c’è rassegnazione, ma anche tanta rabbia. Il caso accaduto negli scorsi mesi in via Abbiati, ad alcuni caseggiati di distanza, aveva fatto molto clamore. Un’ispettrice dell’ALER (la società che gestisce gli alloggi a basso costo della città) è stata malmenata da una famiglia di egiziani, che si è insediata lì in barba a qualsiasi regola, mentre il funzionario gli chiedeva spiegazioni sulla sua presenza nel bilocale. L’aggressione è avvenuta davanti ad una bambina; l’episodio è stato denunciato, ma quella famiglia è tuttora lì.

La tensione c’è e si sente

Gli attacchi agli ispettori dell’ALER sono ormai considerati una consuetudine nella piccola Molenbeek situata a nord-ovest di Milano. «I maghrebini sono a casa loro, siamo noi che siamo ormai ritenuti intrusi» ci dice la signora Franca, un’anziana che abita in via Tracia e che si autodefinisce «una delle poche persone italiane rimaste in queste case».

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Benchorfi preparava una strage, ma qui nessuno lo conosce

Questo contenuto è stato pubblicato al «Questo Nadir non si è mai visto in giro. So che abitava in via Tracia, ma nessuno delle persone che frequentava il nostro bar lo conosceva e qui ci sono tanti arabi», ci racconta l’impiegato di origini calabresi di un esercizio pubblico in via Morgantini. L’arresto, lo scorso 2 dicembre, di Nadir Benchorfi, trent’anni, aspirante…

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Ma è vero che qui i nordafricani sono in continuo aumento? Scuote la testa e ci risponde quasi indispettita: «Ieri sono scesa dal bus e ho sentito una signora con la carrozzina dire ad alta voce: “State tranquilli, qui ancora qualche anno e ci siamo soltanto noi”. Pare ce l’avesse con alcuni giovani usciti di scuola».

La tensione tra italiani e immigrati, insomma, c’è e si sente. Nella vicina via Civitali, dove qualche anno fa il Comune ha proceduto ad ammodernare un certo numero di palazzi, c’è un caseggiato dove un centinaio di marocchini, egiziani e sudamericani ha occupato illecitamente gli appartamenti disposti su due scale. In questa zona non di rado si scorgono portoni con il vetro infranto e con serrature divelte, mentre spazzatura e ammassi di ingombranti di ogni genere sono disposti a ridosso delle portinerie o semplicemente accatastati in strada un po’ ovunque.

Uno scenario denunciato da anni anche dai diversi comitati di quartiere, che chiedono solidarietà e sostegno, e che puntualmente continuano a indignarsi contro «il crescente degrado di San Siro», come si legge anche su alcuni volantini incollati sulle pareti delle case e su vivaci murales che sovrastano ammassi di vecchie masserizie abbandonate a cielo aperto.

Convivenza difficile

Imbocchiamo via Morgantini e ci dirigiamo in direzione di piazza Selinunte. Donne col capo coperto camminano in strada con i propri figli, adolescenti in bicicletta e ragazzini dalla pelle scura giocano a pallone in cortile schiamazzando. I giovani e gli adulti musulmani, invece, siedono nei bar, telefonino in mano, conversando e anche bevendo. C’è chi dice troppo. Tutto il giorno, senza avere un lavoro e prospettive, in una sorta di circolo infernale. Sulle pareti dei palazzi, qua e là, si notano scritte in lingua straniera. Ogni via ha la sua macelleria «halal» o un piccolo supermercato islamico come il moderno «Rais», ma ci sono anche quelli di parrucchieri e di mobili «in stile arabo» che offrono prodotti e servizi per i propri connazionali.

In via Stratico, dove ha sede la scuola bilingue egiziana «Nagib Mahfuz», sono state gettate le basi per quello che potrebbe essere considerato l’unico tentativo istituzionale di creare una vera integrazione tra comunità.

Resta comunque molta diffidenza reciproca. «La realtà è che qui abbiamo paura. Io quando vado a lavorare cammino in mezzo alla strada», ci spiega un’altra donna, sulla trentina. «Quegli uomini, soprattutto di sera, sono una minaccia: giocano, spacciano, disturbano la quiete e violentano, com’è successo ad una ragazza della zona. Un po’ di tempo fa ci sono state diverse aggressioni». E aggiunge: «Le loro donne si prostituiscono per quattro soldi e con le pareti che ci sono in queste case si sente tutto. Abitare in case con a fianco famiglie con magari dentro otto o dieci persone in pochi locali è una situazione insopportabile e chi può andarsene da qui lo fa».

Bande organizzate, secondo fonti di polizia, organizzerebbero le irruzioni nelle case. I pattugliamenti sono continui. Ma chi risiede in questa zona pare averci fatto il callo.

«Qui se vuoi trovare qualcuno che non sia di colore devi cercarlo con il lanternino» è la battuta provocatoria di Massimo, da oltre 35 anni impiegato in un’autofficina di via Tracia. «Dove manca lavoro i pericoli sono maggiori», rimarca. Quando si chiede se il rischio d’infiltrazione dei terroristi islamici sia reale (anche alla luce dei casi che si sono verificati – vedi articolo a lato e riquadro in basso, n.d.r.) nessuno dà risposte dirette. In zona ci sono posti dove pregano i musulmani? «Ne abbiamo sentito parlare, ma non ci interessa», conclude. «Non capire» taglia corto un uomo sulla quarantina dalla chiara origine maghrebina. Un suo connazionale esce da un palazzo con lo sguardo abbassato. È chiaro che vuole evitare qualsiasi domanda.

Carabinieri e Polizia di Stato sono all’erta

Molto frequenti le chiamate in centrale: gli inquirenti non mollano la presa, il loro lavoro è una lotta quotidiana

All’incrocio tra via Zamagna e via Paravia, le pattuglie della Polizia di Stato e dei Carabinieri, ma anche della Municipale, fanno avanti e indietro a tutte le ore del giorno. Proprio come avviene in altre zone della città più problematiche. Si vogliono tenere sotto controllo le aree con le maggiori criticità e già la presenza dei militari o dei poliziotti può essere considerata un valido deterrente contro i malintenzionati.

Non tutti, però, la vedono così. «Cosa volete che faccia la polizia? Qualche volta mi metto anche nei panni degli agenti. Il loro è un lavoro ingrato, difficile». Questa volta, a rispondere a una delle nostre domande buttate lì tra capo e collo al passante di turno, è un altro anziano. La presenza delle forze dell’ordine sarebbe aumentata negli ultimi anni, con l’esplosione dell’immigrazione.

L’intervento avviene su più fronti. Quello ritenuto più urgente è sicuramente quello della sicurezza. Aggressioni e furti in primis. «In alcune strade il Comune ha predisposto delle telecamere, ma noi che abitiamo in questo quartiere sappiamo che poi non funzionano! A cosa servono allora? Buttano via i soldi e basta», ci dice un uomo di mezza età. Un altro, poco distante, che cammina in direzione di via Ricciarelli, sembra decisamente più disilluso. Gli chiediamo un parere sulla presenza degli stranieri e sulla possibilità delle coppie di poter accedere ad un alloggio. Crede invece che lo stiamo cercando pure noi e prima di poter proferire parola, ci inonda di imprecazioni come «il Governo non fa nulla» e «questi rubano e non fanno niente dalla mattina alla sera e li dobbiamo pure mantenere». Il suo è uno sfogo in piena regola: «Vuoi l’appartamento? Sai cosa devi fare? Prendi una spranga di ferro (punta il dito contro il portone di una casa disposta in doppia fila con l’intonaco distaccato), vai al piano terreno ed entri dentro. Ecco, così fanno tutti qui! Hai capito?». La reazione è di quelle forti.

Si percepisce che il clima, tra autoctoni e nuovi arrivati, è molto teso. I problemi non sono di semplice soluzione. Si dice che gli sforzi per ripristinare la legalità siano messi in atto, ancorché a fatica. L’ALER ha mandato rinforzi. Ma ci sono alcune vie nelle quali anche i rappresentanti della società avrebbero gettato la spugna.

Si sa che alcuni personaggi ambigui acquistano appartamenti di due o tre locali per poi subaffittarli a famiglie di immigrati, soprattutto nordafricani. A fare business sarebbero però gli zingari, ma qui è difficile distinguere.

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