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Matteo Messina Denaro, richiesta nuovamente assistenza giudiziaria alla Svizzera

impiegato polizia scientifica inginocchiato dietro a un auto appartenente a matteo messina denaro
I legami con la Svizzera ci sono, ora resta da capire quanto sono estesi. Keystone / Carmelo Sucameli

Dopo la cattura a gennaio  del numero uno di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro la Direzione distrettuale antimafia palermitana ha inviato una nuova rogatoria alla Svizzera.

È stato latitante per 30 anni, ma non nascosto. Viveva una vita normale, sotto mentite spoglie finché non è stato arrestato in una clinica di Palermo all’inizio di quest’anno. Stiamo parlando del grande padrino di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro. Condannato all’ergastolo per decine di omicidi e responsabile di numerose stragi, comprese quelle che costarono la vita ai giudici Falcone e Borsellino, da diversi anni si parla dei suoi legami con la Svizzera.

Ora che il boss è in manette, si cercano i suoi fondi elvetici. Che sono numerosi: nel 2016, in un’intervista rilasciata a TVS Tvsvizzera.it, l’allora procuratore generale della Corte di appello di Ancona Vincenzo Macrì e già procuratore aggiunto antimafia dichiarò: “Essendo la Svizzera un tradizionale luogo di riciclaggio di soldi provenienti da attività illecite, è naturale che divenisse prima o poi una sede stabile di cosche della ‘ndrangheta”, ma non solo. E in quanto luogo di riciclaggio, non è difficile immaginarsi che Messina Denaro abbia seguito l’esempio “di centinaia se non migliaia di italiani che, soprattutto negli anni passati, hanno portato i loro soldi in Svizzera con varie modalità”. Per fare questo, ha spiegato Macrì, “non gli mancavano certo i collegamenti”. Conoscenze che vantava anche nelle logge massoniche: la Procura di Palermo, infatti, ha anche indagato su logge massoniche siciliane che ne avrebbero protetto la latitanza.

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La presenza delle mafie nella Confederazione è ormai assodata e i legami elvetici di Messina Denaro sono innegabili. Numerose operazioni in Svizzera gli sono servite per finanziare la latitanza. “Una latitanza di questo calibro comporta sempre costi enormi. Tanto per la sua durata, quanto per il numero di persone che è necessario coinvolgere. Il boss l’ha finanziata anche attraverso attività a cavallo tra la Svizzera e l’Italia. Per noi è l’ennesima conferma della presenza mafiosa, quasi sempre silente, ma non certo meno pericolosa. Da noi non si spara, certo, ma perché il ricorso alla violenza creerebbe un allarme sociale che sarebbe da ostacolo alla cura degli interessi economici”, spiegava a gennaio ai microfoni della Radiotelevisione della Svizzera italiana RSI il collega Francesco Lepori, responsabile operativo dell’Osservatorio ticinese sulla criminalità organizzata dell’Università della Svizzera Italiana.

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Si presume che Messina Denaro sia coinvolto anche nei traffici di reperti archeologici orchestrati sull’asse Sicilia-Basilea a partire dagli anni ’80. Traffici per i quali è finito più volte sotto inchiesta il mercante d’arte Gianfranco Becchina, originario di Castelvetrano, come il numero uno di Cosa Nostra. I legami dei due uomini sono stati dimostrati da diverse intercettazioni telefoniche oltre che dalle testimonianze di numerosi pentiti.

Così come i suoi legami con Giovanni Domenico Scimonelli, detto Mimmo: uno dei fedelissimi, nato a Locarno e condannato in Italia per associazione mafiosa. È stato il “clavigero” delle casseforti di Messina: spesso si recava a Lugano per gestire i conti correnti del boss mafioso, prelevare il denaro necessario alla sua vita da “primula rossa”, costituire società finalizzate all’ottenimento di carte di credito e per consegnare agli altri associati i “pizzini” con cui il boss impartiva ordini.

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“Mimmo” è stato arrestato nel 2015 e allora il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) evase una prima domanda di assistenza giudiziaria giunta da Palermo, centrata proprio sulle sue attività nel canton Ticino. Gli inquirenti elvetici avevano già aperto un’inchiesta contro ignoti per riciclaggio di denaro, ma questa, nel 2016, sfociò in un decreto di abbandono. “Caso chiuso? No. Dopo la cattura di Messina Denaro la Direzione distrettuale antimafia palermitana ha inviato una nuova rogatoriaCollegamento esterno alla Svizzera, tuttora in fase di esecuzione”, scrive il portale RSI NewsCollegamento esterno. Berna conferma, ma, fa sapere l’MPC, per ora si è dato seguito alle richieste giunte dall’Italia e non sono stati avviati procedimenti penali nella Confederazione. L’MPC sottolinea l’importanza della cooperazione internazionale che permette lo scambio di “informazioni rilevanti”.

Cosa gli inquirenti abbiano trovato finora non è dato sapere: l’arresto del boss è avvenuto pochi mesi fa e restano ancora molte carte da scoprire.

30 anni di latitanza

“Sentirai parlare di me. Mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità”: queste le parole che Messina aveva rivolto alla sua fidanzata in una lettera che le aveva scritto nel 1993, anno in cui iniziò la sua latitanza. Trent’anni a nascondersi, ma nemmeno troppo: al momento del suo arresto si trovava in una clinica di Palermo sotto falso nome per un trattamento. Il suo covo, però, si trovava a Campobello di Mazara, a pochi chilometri da Castelvetrano, suo luogo di origine.

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