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Long Covid, urgono registro nazionale e sostegni a ricerca

Il medico visita una paziente affetta da Long Covid.
Spossatezza, fiato corto e perdita del gusto sono alcuni dei sintomi che possono perdurare anche dopo la guarigione. Keystone / Alessandro Crinari

Si moltiplicano le voci che chiedono interventi mirati per le persone che continuano a soffrire degli effetti del Covid per lungo tempo, con conseguenze rilevanti anche a livello lavorativo e sociale.

Stanchezza, fiato corto, disturbi al gusto e all’olfatto ma anche dolori muscolari, mal di testa, vuoti di memoria e persino depressione. Sono i sintomi che si manifestano con più frequenza nei pazienti affetti da Long Covid, un fenomeno per certi versi sottostimato anche in Svizzera ma che ha delle conseguenze non trascurabili sul sistema sanitario e a livello sociale.

Ne risulta colpito circa il 10% – ma in alcuni studi si arriva a una quota del 37% secondo alcuni studi, a seconda dei parametri adottati – dei malati di coronavirus che dopo tre mesi dalla guarigione lamentano la persistenza di questi sintomi. E con la nuova ampia ondata di contagi, trainata dalle ultime contagiose varianti, il problema tenderà inevitabilmente ad acuirsi.

Per questo motivo, proprio in questi giorni, si stanno moltiplicate le richieste alla politica in favore di un approfondimento della questione, creando in particolare un registro nazionale delle persone affette da Long Covid.

I rilievi dei clinici

Informazioni che “sarebbero importanti per saperne di più sull’importanza della malattia in termini di salute pubblica”, ha detto al SonntagsBlick il neuroscienziato Dominique de Quervain. Al momento infatti solo i casi più gravi, quelli che causano un’inabilità al lavoro, sono censiti nel registro dell’assicurazione invalidità (AI) – l’istituto federale cui compete la gestione e il sostegno a questa specifica categoria di residenti – e quindi la maggioranza degli stessi passano inosservati.

Ma sarebbe ancora meglio uno studio approfondito su scala svizzera, ha auspicato l’infettivologo basilese Manuel Battegay per il quale è necessario chiarire la correlazione tra Long Covid e gravità della malattia. I pazienti curati nei reparti di terapia intensiva hanno maggiori possibilità di perpetuare i sintomi della patologia ma questi, sottolinea l’infettivologo, possono comparire anche dopo una lieve infezione.

Le richieste dell’associazione Altea Network

Ma l’attenzione di autorità e popolazione è tutta rivolta sulla pressione della pandemia sulle strutture sanitarie e sulle fasi acute della malattia, che condizionano le scelte politiche contingenti mentre restano in secondo piano i postumi dell’infezione su un numero crescente di persone.

Per cambiare questo stato di cose Altea Network, la rete nazionale che si occupa di Long-Covid, insiste nella richiesta di un registro nazionale che non sembra però fare l’unanimità tra gli esponenti della politica federale, come riferisce il servizio del TG.

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Per Michael Schlunegger, presidente dell’associazione, non viene prestata sufficiente attenzione ai pazienti affetti da questa patologia che è destinata ad avere un impatto crescente e “il governo dovrebbe fornire maggiori informazioni e incrementare la ricerca” in merito.

Studi sul Long Covid in Svizzera

In Svizzera, sono stati condotti finora diversi studi importanti sul Long Covid, pubblicati dalle università di Ginevra, Losanna e Zurigo su riviste rinomate, come ha indicato un servizio apparso recentemente su swissinfo.ch. I principali risultati di questi studi mostrano differenze relativamente grandi nella frequenza dei casi di pazienti ancora affetti da Long Covid dopo più di sei mesi.

Per esempio, due studi dell’Università di Zurigo hanno concluso che circa il 20-25% degli adulti (studio pubblicato su PLOS OneCollegamento esterno) colpiti dalla Covid-19 e circa il 2% dei bambini (pubblicato su “Journal of American Medical AssociationCollegamento esterno“) soffrono di Long Covid.

Lo studio dell’Università di Ginevra (su “Annals of Internal MedicineCollegamento esterno“) arriva addirittura al 39%. Gli studi continuano, perciò i risultati devono essere considerati con cautela. Milo Puhan, responsabile del Cohort StudyCollegamento esterno di Zurigo, spiega i diversi risultati con il fatto che i dati per gli studi sono stati raccolti in momenti diversi.

“Ma i risultati vanno sostanzialmente nella stessa direzione”, anche se è ancora molto difficile procedere a una valutazione definitiva su quali siano gli effetti medici e quale l’impatto sulla vita quotidiana e sul lavoro. 

C’è però già una certezza su questo aspetto: il sistema sanitario sarà messo a dura prova dal Long Covid. “Bisogna prepararsi in termini di assistenza, forse anche di servizi sociali. Questo significa che dobbiamo tenere d’occhio la situazione e avere pronte le offerte appropriate, da quelle a bassa soglia alle ore di consultazione specializzata”, ha aggiunto Puhan.


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