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La Corte suprema israeliana boccia la riforma della giustizia

La controversa legge promossa dal premier Natanyahu mira a ridurre le prerogative dei giudici nei confronti dell'esecutivo.

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Otto dei 15 giudici della Corte Suprema hanno deciso di annullare un elemento chiave di quella riforma, vale a dire l’emendamento della cosiddetta “clausola di ragionevolezza”, che il governo aveva qualificato come una “legge fondamentale”.

A luglio con quella modifica il Parlamento aveva stabilito che la Corte Suprema non potrebbe più sottoporre al criterio di “ragionevolezza” decisioni assunte dal Governo, dal premier e dai ministri dell’esecutivo.

A innescare il caso fu l’esclusione dall’esecutivo del leader del partito Shas, Arieh Deri, cui, secondo i giudici, sarebbe stato “irragionevole” affidare la carica di ministro degli interni – come voluto da Netanyahu – in quanto condannato più volte per reati fiscali.

Ma la Corte Suprema ritiene che l’annullamento della clausola di ragionevolezza avrebbe rappresentato “un duro colpo alla separazione dei poteri e allo stato di diritto”.

Quanto alla questione se la Corte Suprema possa annullare una legge fondamentale, 12 dei 15 giudici hanno stabilito che è lecito “in casi eccezionali ed estremi nei quali la Knesset abbia varcato i limiti della sua autorità prestabilita”.

Per l’ideologo del partito Likud, il ministro della Giustizia Yariv Levin, “i giudici si sono arrogati tutte le prerogative, che in un regime democratico sono spartite in maniera equilibrata fra i tre poteri dello Stato”.

La pubblicazione della sentenza in giorni di guerra, ha osservato, “è proprio l’opposto dello spirito di concordia che sarebbe opportuno in questo periodo”. Levin ha assicurato che non abbandonerà la lotta che ha ingaggiato contro la magistratura: “Continueremo ad operare – ha assicurato – con pacatezza e responsabilità”.

Dunque, la contesa tra Governo e Corte Suprema è destinata a protrarsi ma per ora il confronto viene congelato.

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