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“Due partner che restano essenziali l’uno per l’altro”

Le bandiere italiana e svizzera sventolano sulla Piazza della Cattedrale di Berna in occasione della visita di Stato di Giorgio Napolitano nel 2014. Keystone

Molte convergenze ma anche qualche punto di frizione e delle questioni ancora aperte: l’ambasciatore d’Italia in Svizzera Marco Del Panta Ridolfi fa il punto sulle relazioni italo-elvetiche con la rivista La Svizzera, pubblicata dalla Camera di commercio Svizzera in Italia.

Marco Del Panta Ridolfi, classe 1961, è ambasciatore d’Italia in Svizzera dal gennaio 2016. Nel corso della sua carriera è stato tra l’altro segretario generale dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze, responsabile della preparazione della presidenza italiana dell’Unione europea (secondo semestre 2014) e della gestione dei programmi finanziari dell’UE per vicinato e Paesi dell’allargamento, direttore centrale per le politiche migratorie ed i visti presso il Ministero italiano degli Affari esteri.

Ambasciatore, sui rapporti tra Italia e Svizzera c’è spesso una percezione di andamento a tinte miste, con fasi di buon accordo contrastate però ancora da divergenze e incomprensioni. È una percezione giusta o sbagliata, quale valutazione dà sulle attuali relazioni complessive tra i due Paesi?

L’ambasciatore d’Italia in Svizzera Marco Del Panta Ridolfi (al centro) in compagnia del ministro dell’economia elvetico Johann Schneider-Ammann (a sinistra) e del cancelliere della Confederazione Walter Thurnherr. Ambasciata d’Italia in Svizzera

Tra Paesi amici e confinanti è normale che vi siano piccole divergenze. Mi pare che le incomprensioni siano davvero molto poche, e nessuna a livello di capitali. Due grandi nazioni come Italia e Svizzera sono strettamente unite e hanno un cospicuo fascio di relazioni politiche, economiche, commerciali e culturali che si sviluppano quasi “in automatico”. Vi sono poi questioni a livello locale sulla quali abbiamo un dialogo aperto. Mi pare naturale fra due Paesi che condividono 740 chilometri di confini.  

Guardando più da vicino al versante economico, come stanno andando i rapporti italo-elvetici?

I due Paesi restano partner essenziali l’uno per l’altro. Le relazioni economiche sono costanti e conoscono eventuali lievi flessioni che sono dovute solo al più ampio ciclo congiunturale europeo o internazionale.

Abbiamo un interscambio che nel 2015 ha raggiunto i 33 miliardi di franchi, con un saldo positivo di 3,9 miliardi di franchi per noi, che ci rendono il terzo partner commerciale della Svizzera, mentre per noi la Confederazione rappresenta il settimo mercato di esportazione. Basterà un dato: il solo rapporto commerciale con la Lombardia supera quello che Berna intrattiene con la Cina. E per noi la Svizzera ha quasi la stessa importanza commerciale del gigante asiatico. Si tratta inoltre di relazioni che si sviluppano praticamente in tutti i settori merceologici.

“Il solo rapporto commerciale con la Lombardia supera quello che Berna intrattiene con la Cina”

Nelle relazioni tra i due Paesi restano però da definire o concludere due capitoli sostanziosi, quello dell’accesso al mercato italiano dei servizi finanziari da parte delle banche svizzere e quello dell’imposizione fiscale per i frontalieri italiani. Quali sono le prospettive per quel che concerne questi due capitoli?

Sul primo aspetto posso dire che la competenza è dell’Unione europea. Non è una risposta di comodo. Si tratta di porre la questione sotto un angolo visuale più ampio di quello delle relazioni bilaterali. La seconda questione attiene invece prima di tutto alle relazioni bilaterali. Come noto, c’è un accordo che è stato parafato e che ci auguriamo possa essere firmato il prima possibile. Anche questo però dipende dall’andamento del negoziato fra Berna e Bruxelles.  

Svizzera e Unione europea stanno cercando una via di intesa su un terreno che si presenta ormai come non facile, quello della libera circolazione delle persone. Come vede questa vicenda e quale ruolo può giocare l’Italia in questo campo?

Sarò franco: si tratta di un dossier non semplice da risolvere, perché vi sono delle difficoltà a livello logico. Delle due l’una: o si ha la libera circolazione delle persone o si ha l’introduzione di quote e contingenti per gli stranieri, come vuole l’iniziativa popolare “contro l’immigrazione di massa”.

In realtà la politica e la diplomazia possono trovare un compromesso tra queste due realtà apparentemente inconciliabili. Ci vuole buona volontà da entrambe le parti, buon senso e una seria intenzione di trovare un punto di equilibrio. Conosce il vecchio adagio? Il miglior accordo è quello che lascia entrambe le parti insoddisfatte… Fuor di battuta, l’Italia è forse il Paese che più si sta spendendo tra Berna e Bruxelles per favorire questo punto di equilibrio. In definitiva, una soluzione vantaggiosa per tutti e rispettosa sia del principio di libera circolazione delle persone sia del voto del popolo elvetico.

In Canton Ticino ci sono buoni rapporti tra molti enti ed istituzioni dei due Paesi, ma rimangono pure alcune tensioni, come si è visto anche nella recente votazione popolare “prima i nostri”, riferita al mercato del lavoro cantonale. Cosa si può fare per migliorare il quadro anche con il cantone più vicino all’Italia?

Dal mio arrivo ho molto riflettuto sulle relazioni con il Canton Ticino, che sono formalmente ottime, ma in un clima, che si respira dalla lettura dei media ticinesi, di crescente diffidenza verso l’Italia, nonché di chiusura verso i frontalieri italiani. Mi sono chiesto perché la vicinanza culturale e linguistica non porti ad una maggiore “familiarità”.

L’economia del Ticino è strettamente interconnessa a quella lombarda e ne ha tratto giovamento per decenni. Sarebbe bello “volare più alto”: non limitiamoci a vedere la contingenza di questi ultimi anni, nei quali l’economia italiana non è ancora uscita dalla crisi iniziata nel 2008.

Vi è un interesse reciproco a sfruttare le sinergie di una maggiore apertura economica. La presenza dei frontalieri risponde evidentemente ad una richiesta del tessuto economico ticinese e va vista anche come un arricchimento. Eventuali effetti collaterali, che possono verificarsi, devono essere regolati nel quadro del dialogo bilaterale fra Italia e Svizzera, e da parte nostra c’è sicuramente la volontà di risolvere le questioni. Iniziative come “prima i nostri” non ci sembrano andare nella giusta direzione, anche con riguardo al negoziato fra Berna e Bruxelles.  

I trasporti sono pure un capitolo importante e il nuovo tunnel ferroviario elvetico del San Gottardo, inaugurato nel giugno scorso ed in servizio effettivo dal dicembre di quest’anno, ha reso ancora più evidente questa importanza. Come stanno andando le cose per quel che riguarda l’adeguamento delle strutture in Italia a questa nuova realtà del trasporto ferroviario lungo l’asse Nord-Sud Europa?

Si tratta di un’opportunità storica. Il contemporaneo raddoppio del traforo del Gottardo e del canale di Suez apre nuove possibilità per i porti italiani, che potranno intercettare maggiori flussi di traffico merci nel Mediterraneo. Attualmente larga parte di questi traffici ci sfugge e le navi compiono una settimana in più di navigazione per arrivare nei porti del Nord Europa.

Con l’aumento della capacità dei porti del Nord Italia, che è in corso di realizzazione, e l’aumento della capacità e velocità del corridoio ferroviario Genova – Rotterdam, grazie soprattutto al nuovo traforo del Gottardo, si potrà trasferire lungo questo asse una parte dei flussi commerciali che attualmente si dirigono altrove, a tutto vantaggio della Svizzera e dell’Italia.

È un’opportunità enorme, alla quale il Governo italiano sta lavorando alacremente (il ministro Delrio ha dichiarato che i lavori del terzo valico Milano-Genova hanno carattere prioritario e sono in una fase avanzata) in collaborazione con la Svizzera. Occorre collegare infatti Lugano a Genova, con un tragitto che per due terzi è in territorio italiano e un terzo in Svizzera. Oltre al traffico merci, sarà importante anche per le persone e per i rapporti fra la società civile dei due Paesi. Zurigo potrà guardare con più interesse a Milano e viceversa, a tutto vantaggio di due fra i principali poli economici e finanziari d’Europa.

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