Il voto ticinese su “Prima i nostri” e il futuro dell’Europa
di Dario Fabbri (Limes)
Oltre ad avere (potenziali) conseguenze sulle relazioni italo-svizzere, L’iniziativa popolare ticinese di domenica scorsa si inserisce prepotentemente nel momento vissuto dall’Europa. Potenzialmente in grado di annullare l’aderenza della Confederazione Elvetica al trattato di Schengen, potrebbe incidere sulle relazioni del paese con lo spazio comunitario ed intervenire nel negoziato riguardante il futuro status della Gran Bretagna post-Brexit. Da modellare – secondo numerosi osservatori – proprio sull’esempio svizzero.
Il 25 novembre il 58% dei ticinesi s’è dichiarato favorevole all’inserimento nella Costituzione cantonale di modifiche che impongano la precedenza nelle assunzioni ai lavoratori svizzeri. Ne sarebbero penalizzati soprattutto i circa 60mila frontalieri italiani che ogni giorno varcano il confine. Il governo di Roma ha condannato l’esito referendario, mentre l’esecutivo svizzero ha ribadito la legittimità dell’esercizio di democrazia diretta e la natura al momento soltanto virtuale del voto. Tuttavia le ripercussioni non saranno soltanto di natura bilaterale – peraltro in questa fase difficili da valutare – quanto accaduto rischia di gravare anche sui futuri legami tra Berna e Bruxelles.
Benché non sia membro dell’Unione Europea, attraverso 120 accordi bilaterali la Confederazione Elvetica ha accesso al mercato continentale e dal 2004 aderisce a Schengen, garantendo la libera circolazione sul territorio nazionale dei cittadini europei. Il referendum ticinese potrebbe stravolgere tale bizantina architettura. Specie se unito al voto con cui nel 2014 gli elettori elvetici hanno espresso la volontà di applicare quote all’immigrazione. Sul tema è già in corso un negoziato tra Berna e Bruxelles e al riguardo il ministro degli Esteri italiano ha minacciato la Svizzera di ritorsioni. Un dossier estremamente delicato per la Confederazione, che esporta nel continente circa il 50% del proprio pil e che, non a caso, finora si è rifiutata di attuare il risultato di un referendum vecchio quasi tre anni.
A queste partite si somma la sottovalutata incidenza che il voto ticinese può avere sulle trattative per la Brexit. Nelle ultime settimane molti analisti britannici hanno suggerito la possibilità che il Regno Unito emuli la complessa interazione giuridica esistente tra l’Unione Europea e la Svizzera, compresa la futura possibilità di contingentare l’ingresso dei lavoratori stranieri (Londra non ha mai sottoscritto il trattato di Schengen). I benefici economici ottenuti da Berna grazie al suo peculiare status all’interno dell’Europa – una crescita media dell’1,8% registrata dal 2008 nonostante la crisi che ha investito il resto del continente – sono stati indicati da molti come la prova di un modello funzionante. Sicché la consultazione ticinese potrebbe adesso inserirsi nel negoziato tra il Regno Unito e l’Unione Europea. In questa fase le istituzioni comunitarie paiono intenzionate ad applicare una maggiore rigidità ai danni della Svizzera – «il voto ticinese complicherà grandemente la situazione», ha ammonito il portavoce della Commissione europea, Margaritis Schinas – proprio per mostrare il pugno di ferro al Regno Unito, che a sua volta vorrebbe mantenere con lo spazio comunitario legami di esclusiva natura economica.
Dinamiche di una partita giocata da numerosi attori e su molteplici tavoli. Da Roma a Lugano, da Berna a Bruxelles. Fino a Londra.
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