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Il ricordo di quei due Giusti che sul confine italo-svizzero salvarono intere famiglie

Ugo e Pia Colonna, la cui figlia Elena racconta oggi la loro storia, nella casa di Montagnola nel 1944/45.
Ugo e Pia Colonna, la cui figlia Elena racconta oggi la loro storia. La coppia è immortalata nella casa di Montagnola nel 1944/45. tvsvizzera.it

Nel 1943 molte persone si rifugiarono in Svizzera passando dal paese di Clivio. Lì una signora del posto, Nella Molinari, e un maresciallo della Guardia di Finanza, Luigi Cortile, oggi iscritti tra i Giusti delle Nazioni allo Yad Vashem di Gerusalemme, aiutavano le persone ad attraversare la frontiera. Tra loro i Colonna, una famiglia già sfollata a Caronno Pertusella a causa dei bombardamenti che imperversavano su Milano. 

Il racconto comincia da quella sera di ottobre del 1943 quando, a bordo di un tram, mamma e due figlie arrivano a Clivio, piccolo paese alla frontiera con la Svizzera. Qui, il padre Ugo Colonna, aveva saputo che una signora del posto aiutava gli ebrei a passare il confine in cerca della salvezza nella Confederazione. E aveva organizzato di far attraversare la frontiera a tutta la famiglia composta da moglie, cinque figli (quattro femmine e un maschio) e tre sue sorelle.

“La nostra era una famiglia ebrea, borghese e laica di Milano. Non frequentavamo il Tempio e non eravamo religiosi. Io non sapevo nemmeno cosa volesse dire essere ebrei”, racconta a tvsvizzera.it seduta nel salotto della sua casa milanese Elena Colonna Secco. Ai tempi aveva cinque anni e, come tutti i bambini, viveva spensierata. Le leggi razziali del 1938 avevano impedito ai suoi fratelli e alle sue sorelle più grandi di continuare a frequentare la scuola pubblica e a suo padre, imprenditore e rappresentante di macchine per maglieria, di lavorare e di gestire la sua azienda.

Elena Colonna Secco a 2 anni, nel 1940 nella casa di via De Amicis a Milano.
Elena Colonna Secco a 2 anni, nel 1940 nella casa di via De Amicis a Milano. tvsvizzera.it

Vietato raccontare il motivo del viaggio: ai vicini si disse che si andava a Stresa a passare qualche giorno di vacanza. “Ricordo che arrivammo a Clivio di domenica dato che il passaggio doveva essere solo di lunedì perché era il giorno libero del maresciallo e che doveva svolgersi a tre per volta. E così ci organizzammo per passare per prima mia mamma, mia sorella più grande ed io. Poi il lunedì seguente sarebbero passate le altre due sorelle con una zia. Successivamente mio fratello Ugo con altre due zie. Mio padre sarebbe passato per ultimo per consentire anche ad un’altra famiglia, i Ghedalia, composta da mamma e quattro figli, di entrare in Svizzera”.

Svegliate nel cuore della notte, si avviarono per il sentiero e alla piccola Elena la madre intimò di stare zitta e di tenere sempre la manina della sorella più grande. “Sennò i tedeschi vengono a prenderci” le diceva. 

Il numero di ebrei respinti dalla Svizzera è da anni oggetto di roventi polemiche. Il Rapporto Bergier, stilato dall’omonima commissione incaricata di far luce su diversi aspetti della storia svizzera durante la Seconda Guerra mondiale e pubblicato all’inizio degli anni 2000, aveva stimato che oltre 20’000 civili, in gran parte ebrei, erano stati respinti alle frontiere elvetiche. Piu della metà di questi respingimenti sarebbero avvenuti in Ticino e Mesolcina.

Uno studio dello storico Adriano Bazzocco, la cui versione in tedescoCollegamento esterno sarà pubblicata nei prossimi giorni dai Documenti diplomatici svizzeri, giunge a conclusioni molto diverse. Basandosi su nuove fonti e analisi, lo storico ticinese ritiene che la stragrande maggioranza delle persone respinte alla frontiera ticinese tra il settembre 1943 e l’aprile 1945 erano soldati italiani allo sbando, considerati dalle autorità elvetiche alla stregua dei rifugiati civili.

Le persone di confessione ebraica erano invece una minoranza: secondo Bazzocco in questo periodo dal Ticino e dalla Mesolcina sono stati respinti non più di 745 ebrei ed ebree.

Lo studio in italiano di Adriano Bazzocco può essere consultato qui.Collegamento esterno

L’entrata in Svizzera

“Alle 4 del mattino – continua Elena Colonna Secco – ci siamo alzate. La signora Nella ci ha accompagnato per un pezzo. Fino all’incontro col maresciallo Cortili che ci aprì la rete e, augurandoci buona fortuna, ci disse di percorrere il sentiero. Non avevo paura, mi sentivo protetta avendo quattro fratelli grandi e due genitori che mi facevano vedere sempre il lato positivo della vita. La camminata nel bosco non era spiacevole, mia sorella Ersilia portava i bagagli: due piccole valigette. Dopo essere scesi da una scarpata arrivammo a Besazio”. 

Foto di Elena Colonna Secco nel libretto dei rifugiati.
Foto di Elena Colonna Secco nel libretto dei rifugiati. tvsvizzera.it

Da lì, il piccolo gruppo raggiunge Lugano in autobus e si consegna alle autorità. “Ci misero in un campo di raccolta a Bellinzona. Ricordo la mia terribile delusione perché mia mamma mi aveva detto che saremmo andati in un bell’albergo. In realtà mi trovai con pagliericcio in terra tra i pianti di donne che soffrivano per essersi dovute separare dai mariti. E sbottai dicendo che quello non era l’albergo che mia mamma mi aveva promesso ma un refugium peccatorum, ripetendo a pappagallo una frase sentita dai miei fratelli più grandi”.

Nei campi di raccolta di Bremgarten ed Eichberg

Il loro soggiorno in Ticino durò poco poiché, alcuni giorni dopo, furono trasferite al campo di raccolta di Bremgarten, nel canton Argovia, situato in un convento dismesso. Un campo misto di uomini e donne con molti italiani e polacchi. “Non tutti erano ebrei”, continua Elena Colonna, “C’erano anche dissidenti e oppositori. Le condizioni erano difficili. Da lì ci trasferirono a Eichberg con una macchina privata. Il campo era molto migliore, si mangiava meglio, c’erano acqua calda e lenzuola. Un posto più accogliente anche se era pur sempre un campo profughi”. 

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L’arrivo a Montagnola

Grazie al capofamiglia che dimostrò di avere mezzi di sostentamento adeguato, i Colonna riuscirono a ritrovarsi tutti insieme, tranne le zie che erano state accomodate in altri campi a Roveredo e Lucerna, in un appartamento preso in affitto a Montagnola. “Fummo accolti bene: vivevamo in un appartamento carino con un giardino dove giocavo e mi divertivo con i bambini della mia età. Anche le mie sorelle e mio fratello fecero molti amici. Tutti frequentavamo la scuola: mio fratello il liceo di Lugano, le mie sorelle una scuola professionale dove la direttrice accoglieva anche i rifugiati, io la seconda elementare”.

Libretto del Rifugiato di Ugo Colonna jr., fratello maggiore di Elena.
Libretto del Rifugiato di Ugo Colonna jr., fratello maggiore di Elena. tvsvizzera.it

Molti i ricordi di quel periodo che ancora affiorano alla mente di Elena Colonna Secco. Alcuni dei quali raccolti nel libro intitolato Milena e i suoi fratelli da lei scritto e pubblicato nel 2003 dall’editore Rubbettino. “La sera andavamo a Scairolo a prendere il latte col quale facevamo il burro e cenavamo col caffè latte e qualcosa d’altro. Non si moriva di fame perché c’era la tessera con cui ci venivano razionati gli alimenti e la mamma si ingegnava a cucinare pietanze con anche prodotti come l’orzo che per noi erano sconosciuti. Papà non poteva lavorare però andava tutti i giorni dai Riva-Pinchetti, suoi clienti, forse coloro che gli avevano prestato soldi garantendoci di vivere al di fuori del campo”.

Il ritorno in Italia

Nell’estate del 1945, dopo la fine della guerra e la liberazione dal nazifascismo, la famiglia Colonna fece ritorno in Italia. Prima a Caronno Pertusella e poi a Milano nella casa di via de Amicis che era stata danneggiata durante il conflitto. Nessun membro della famiglia rimase in Svizzera per continuare gli studi o a lavorare. “Nessuno di noi si fermò, tornammo tutti a Milano e ci restammo. Mia figlia Alessandra si è trasferita in Svizzera alcuni anni fa, a Zurigo, e, per ironia della sorte, vive non lontano da Bremgarten dove c’era il campo di raccolta dove fummo accolti. Ora è cittadina svizzera così come i miei nipoti che lì hanno fatto tutte le scuole”. 

Elena Colonna Secco.
Elena Colonna Secco. tvsvizzera.it

A Clivio, però, Elena Colonna Secco è tornata varie volte con figli e nipoti e, in compagnia di Alberto Molinari, figlio della signora che li aveva aiutati a fuggire, hanno ripercorso in parte quel sentiero verso la libertà. “Pensavo a come il destino sia curioso. Noi, una famiglia di dieci persone siamo riusciti a passare in Svizzera senza problemi. Altri come Liliana Segre, suo padre e i suoi due cugini, che erano solo in quattro e pur pagando i contrabbandieri, sono stati fermati al confine da un soldato svizzero molto zelante, respinti e consegnati alla polizia italiana. E tutto accadeva negli stessi giorni”. 

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