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Giorgio Orelli, a 10 anni dalla morte

Giorgio Orelli
Giorgio Orelli nella sua Bellinzona nel 1998. Keystone / Ayse Yavas

Tra i più importanti interpreti della lingua italiana in Svizzera del Novecento, il poeta ticinese Giorgio Orelli scompariva il 10 novembre del 2013.

Contadino istruito, come amava definirsi lui stesso, Giorgio Orelli (25 maggio 1921 – 10 novembre 2013) ha puntato l’obiettivo della sua poesia sulle tracce misteriose (le Sinopie e gli Spiracoli) che la vita incessantemente elargisce. Tracce animali, vegetali e umane (preferibilmente nella versione infantile) in cui sembra balenare il senso di una rivelazione.

Martore, volpi, faine e bambini, la quotidianità alpestre e quella cittadina (Bellinzona), impregnano la poesia di Orelli di un alone meraviglioso. Nei suoi versi le piccole occasioni quotidiane s’illuminano d’immenso, il particolare si supera nell’universale, il familiare nell’incognito, il finito nell’infinito. E ogni cosa è illuminata.

A colloquio con Giorgio Orelli nel giorno del suo 90esimo compleanno:

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Leggendo le poesie di Giorgio Orelli si ha la sensazione di essere su un’altalena, che scende a pescare nella quotidianità per poi incielarsi in un arco stupendo. Se da un lato infatti il materiale su cui il poeta, col muso aguzzo in giù sul pino, punta i suoi riflettori è un materiale semplice, aneddotico e quotidiano (fortemente radicato ai luoghi, alle cose e agli affetti), dall’altro esso si supera, in una giostra di rimandi e allusioni.

Questa sensazione, di discesa e ascesa vertiginosa, è avvalorata da uno strenuo lavoro sul ritmo. Il metro, le allusioni fonosimboliche, le fitta ipertestualità sonora (fondata su un’attenta auscultazione di Dante, Petrarca e Leopardi) concorrono infatti a dare la sensazione di una realtà insieme immanente e trascendente, bassa e alta, personale e universale. Una realtà sempre folgorata nella parola esatta.

Un’intervista del 1989 dagli archivi della Radiotelevisione svizzera RSI:

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Ritenuto uno dei maggiori poeti del Novecento, definito da Gianfranco Contini un toscano nato in Ticino, Giorgio Orelli ha pubblicato una flottiglia di raccolte poetiche, non troppe né troppo poche, come a ribadire che la scrittura non è consuetudine, ma nasce da un’istantanea folgorazione cui fa seguito una lenta rielaborazione prosodica. Rielaborazione di cui danno conto le raccolte Né bianco né viola (1944), Poesie (1953), L’ora del tempo (1962), Sinopie (1977), Spiracoli (1989) e Il collo dell’anitra (2001). Apparentata al filone post-ermetico e a quello della Linea lombarda, la cifra distintiva della poesia di Orelli si annida nella singolarissima grazia musicale.

Giorgio Orelli attorno alla raccolta Spiracoli:

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Autore, oltreché di poesie, anche di un libro di racconti (Un giorno della vita, 1961), Giorgio Orelli ha alternato alla scrittura creativa un’arguta perlustrazione esegetica, dando alle stampe numerosi saggi, unici nella loro capacità di andare a scovare l’intimo rapporto fra il suono e il senso delle opere analizzate: Accertamenti verbali (1978); Quel ramo del lago di Como. Lettura manzoniana, (1982 e 1990); Accertamenti montaliani (1984); Il suono dei sospiri. Sul Petrarca volgare (1990); Foscolo e la danzatrice. Un episodio delle «Grazie» (1992).

Accanto a questo doppio filone, di poeta e di critico letterario, una terza via è stata solcata dallo scrittore ticinese, quella della traduzione, di cui rende testimonianza il lavoro minuzioso sulla poesia di Goethe.

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