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Frontalieri, nuovi pesanti inasprimenti fiscali in vista

I tartassati.
I tartassati. © Keystone / Jean-christophe Bott

Preoccupa il mondo del lavoro transfrontaliero la possibile soppressione di alcune agevolazioni tributarie nel nuovo accordo bilaterale e delle deduzioni promosse da alcuni partiti ticinesi.

Per le frontaliere e i frontalieri, che devono ancora digerire la nuova tassa sulla salute, si prospetta una nuova tegola. Tra le pieghe del nuovo accordo italosvizzero, che di per sé non dovrebbe comportare aggravi fiscali per la manodopera italiana alla quale si applica il precedente regime fiscale, si cela infatti un tecnicismo che rischia di far aumentare sensibilmente le imposte alla fonte trattenute dai Cantoni.

Secondo quanto viene rilanciato con preoccupazione nei vari social media utilizzati da questa categoria di dipendenti, l’intesa appena entrata in vigore ha infatti soppresso un’agevolazione riservata alle e ai pendolari transfrontalieri con coniuge che lavora in Italia. In sostanza questi – diversamente dal passato in cui il salario del marito o della moglie veniva esentato – saranno inseriti nella categoria di contribuenti con doppi redditi, alla quale viene applicata un’aliquota più alta, con conseguente incremento delle imposte dovute.

Non è al momento chiaro l’impatto quantitativo di questo dettaglio, né il numero di persone coinvolte ma è scontato l’incremento dell’onere tributario che, secondo quanto detto al Corriere del TicinoCollegamento esterno da Michele Scerpella, responsabile dell’Ufficio delle imposte alla fonte e del bollo del Canton Ticino, potrebbero persino raddoppiare.

Un’agevolazione che risale a 50 anni fa

L’origine di questa agevolazione risale al 1985 quando venne diminuita, dal 40% al 38,8%, la quota di imposte alla fonte pagate dai frontalieri che venivano riversate dai Cantoni (Ticino, Grigioni e Vallese) all’Italia (ristorni). Questo correttivo all’accordo bilaterale del 1974 era stato concordato per il fatto che molte e molti lavoratori pendolari rinunciavano a rientrare la sera al proprio domicilio in Italia. 

In compenso Roma ha ottenuto che non venissero computati dal fisco elvetico, l’unico a cui era soggetta questa categoria di manodopera residente in Italia, i salari dei loro coniugi. Una clausola che non è stata confermata nella nuova intesa. 

Naturalmente non si sono fatte attendere le reazioni e la polemica è montata, anche perché questo previsto aggravio fiscale va ad aggiungersi alla controversa tassa sulla salute introdotta dalla legge di bilancio del Governo Meloni appena entrata in vigore.

Sorpresa e sconcerto

Sorpresa, sconcerto e perplessità sono i termini più in voga in queste a ridosso della frontiera e che fa suoi Matteo Mandressi (CGIL di Como). “Nessuno si aspettava una cosa del genere, si tratta di un tecnicismo che non conoscevamo e di cui siamo stati informati da alcuni dei nostri iscritti”, ci dice il sindacalista lariano che pone qualche interrogativo sulla genesi di questa vicenda definita sconcertante: “Le persone che hanno negoziato il nuovo accordo fiscale dei frontalieri erano però perfettamente consapevoli” di quello che sarebbe successo con il nuovo regime fiscale.

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“Un’ulteriore tassa” che si aggiunge alla citata tassa sulla salute e che, secondo quanto sostiene Matteo Mandressi, “va a decurtare le retribuzione dei frontalieri” sottoposti al vecchio regime tributario. Una categoria che riteneva di essere al riparo dal nuovo – e più oneroso dal profilo tributario – accordo fiscale stipulato nel dicembre 2020 da Roma e Berna, che consentiva alla manodopera transfrontaliera assunta prima dell’entrata in vigore dello stesso (17 luglio 2023) di essere tassata unicamente dalla Confederazione, in base alle vecchie norme risalenti al 1974.

Ma che ora si vede applicare la tassa della salute – che potrà variare, a seconda della Regione, tra il 3% e il 6% del salario netto (per un massimo di 200 euro al mese) – per incentivare l’occupazione nelle aree a ridosso del confine elvetico. E in aggiunta la prospettiva concreta di un aumento d’imposte per chi è coniugato (alle condizioni menzionate).

“Una guerra tra poveri”

Più in generale filtra il sospetto, corroborato da più indizi, che l’atteggiamento di Roma sia ultimamente cambiato nei confronti della manodopera frontaliera. Il regime fiscale cui sono soggetti i “nuovi” frontalieri/e, la quota ridotta di telelavoro, pari al 25%, concessa da Roma (a pochi mesi dal 40% sottoscritto da Parigi e Berna) e la temuta riforma del fisco internazionale, che secondo taluni potrebbe comportare addirittura l’abolizione dello statuto dei frontalieri stanno creando in queste settimane fibrillazioni al confine.

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mani su computer

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“In generale penso che si possa dire che è in corso una guerra tra poveri in Ticino che viene fatta sui salari e favorisce il dumping”, sostiene Amalia Mirante, docente alla Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI).

Tutti queste politiche sono espressione, secondo l’economista ticinese, dell’intento, da parte dell’Italia, “di tenere in patria la sua manodopera, dal momento che non può agire sul piano internazionale” in una materia appena regolata da un accordo bilaterale. Ma lo sta facendo sulla pelle della manodopera. “Roma fa i suoi interessi – precisa – ma a pagarne lo scotto alla fine saranno i lavoratori e le lavoratrici”.

Dal punto di vista elvetico i citati inasprimenti tributari a carico dei frontalieri e delle frontaliere possono avere anche degli effetti positivi, segnala Amalia Mirante, ma non tanto per le casse cantonali, come si argomenta spesso in queste settimane. “Questi aumenti di imposte che colpiscono i redditi dovrebbero spingere i salari verso l’alto e questo non è un male per il Ticino”, cantone in cui notoriamente gli stipendi sono costantemente sotto pressione e sperequati rispetto al resto della Confederazione.

Una nuova minaccia

Intanto sullo sfondo si sta concretizzando una nuova minaccia: esperti e partiti politici ticinesi (Lega e Centro) stanno infatti insistendo per sopprimere le deduzioni (generali e sociali) dalle imposte alla fonte dei (nuovi) frontalieri e chiedono al Governo cantonale di verificare l’eventuale compatibilità della proposta con il diritto (internazionale) vigente.

“Vedremo come andrà a finire”, osserva Matteo Mandressi in merito a un provvedimento che a suo giudizio sarebbe l’ennesimo intervento sulle condizioni salariali di una categoria di manodopera che subisce una discriminazione a livello retributivo nei confronti delle e dei residenti.

“Sta convergendo tutta una serie di situazioni che penalizzano un segmento del mondo del lavoro e che ha attori diversi – Governo italiano e autorità svizzere – e che non possono non suscitare perplessità”, sostiene il sindacalista lariano, che lamenta il fatto che su queste questioni non siano state consultate, come promesso, le parti sociali.

Stiamo effettuando approfondimenti giuridici sulla legittimità dei provvedimenti presi da Roma, aggiunge, ma “sulle disposizioni di competenza elvetica non abbiamo modo di agire direttamente”. Va comunque avanti, nel quadro del Comitato sindacale interregionale (CGIL, CISL, UIL, UNIA, OCST), il confronto per coordinare le azioni ai due lati della frontiera. Più in generale però, conclude Matteo Mandressi, è divenuto indifferibile un dibattito serio sulla valenza economica e sociale del frontalierato, per poi apportare gli eventuali correttivi agli accordi sottoscritti.

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