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Eugenio Balzan, il filantropo avaro

Ritratto in bianco e nero di Eugenio Balzan nel 1925.
Un ritratto di Eugenio Balzan nel 1925. Fondazione Eugenio Balzan

Dal giornalismo impegnato al pallino per gli affari, fino alla passione per l'arte. A settant'anni dalla morte, la parabola umana e professionale di Eugenio Balzan continua ad affascinare.

Porta il suo nome quello che è stato soprannominato “il Nobel svizzero e italiano”. Un premio per scienza e cultura che oltre agli onori, distribuisce importanti somme di denaro. Ogni riconoscimento consegna annualmente ad ogni vincitore e vincitrice 750’000 franchi, la metà dei quali da destinare al finanziamento di progetti di ricerca. Mentre il Nobel consiste in circa 860’000 franchi, da dividere in caso di attribuzione a più persone nella stessa categoria.

Ad assegnare il prestigioso titolo nei settori della cultura, della scienza e dell’impegno umanitario è la Fondazione Eugenio Balzan, con sede a Zurigo e a Milano, un’organizzazione nata alla fine degli anni Cinquanta per dare una missione all’ingente eredità lasciata dal giornalista e finanziere.

Nato nel 1874 in provincia di Rovigo, in Veneto, Balzan era figlio di un agiato proprietario terriero. La sua infanzia incantata e benestante venne bruscamente interrotta nel 1882 dalle conseguenze di una devastante alluvione. Il fiume Adige ruppe gli argini e la zona del Polesine fu inghiottita dall’inondazione. Acqua e fango distrussero città e coltivazioni, e mandarono in rovina la famiglia Balzan, costretta a vendere la casa e trasferirsi a Padova.

Una fulminante carriera

Dopo studi in agraria, Eugenio Balzan cominciò a lavorare come correttore di bozze per il giornale locale L’arena, e subito dopo a Milano per il Corriere della Sera, dove fu protagonista di un’incredibile ascesa professionale. Da correttore divenne redattore e poi inviato, firmando ai primi del Novecento una serie di clamorosi reportage d’inchiestaCollegamento esterno che portarono alla luce lo sfruttamento di cui era vittima chi in quegli anni dall’Italia, ma anche dalla Svizzera, emigrava in Canada e negli Stati Uniti. Balzan viaggiò in quelle che chiamò “le navi dei disperati” e si immerse nelle tragedie umane di chi occupava la terza classe, dove al posto dei gabinetti c’erano “mucchi di paglia”, e documentando le condizioni oltreoceano di quelli che definì “indesiderati”.

Prima pagina de La Domenica del Corriere del 1901
Un’inchiesta di Eugenio Balzan, in prima pagina su La Domenica del Corriere del 1901. Fondazione Corriere della sera

Dopo gli exploit da cronista, alla velocità della luce divenne prima segretario e poi direttore amministrativo del Corriere della Sera, contribuendo a portare il quotidiano da 75’000 a 600’000 copie vendute ogni giorno. Balzan aveva un marcato talento per le questioni organizzative e rivoluzionò ogni aspetto della produzione e della distribuzione del giornale. Pioniere nell’innovazione, acquistò per stamparlo una moderna rotativa americana Hoe e mise mano al mercato della pubblicità, diventando infine azionista di minoranza nella società cui apparteneva il giornale. Il suo talento per gli affari ne fece uno degli imprenditori più ammirati del settore.

Il legame con la Svizzera

Il veneto Eugenio Balzan, ormai di casa a Milano, cominciò ben presto a frequentare la Svizzera. Zurigo e Lugano in particolare, nelle cui banche – girava voce in Italia – avrebbe cominciato a depositare il denaro guadagnato al Corriere della Sera. Finché i suoi destini umani e professionali presero a intrecciarsi con l’ascesa di Mussolini. Balzan lo conosceva personalmente e anche piuttosto bene, grazie all’amicizia che lo legava al fratello del Duce, il giornalista Arnaldo. Con il nascente regime fascista la direzione del Corriere della Sera entrò però presto in conflitto, in nome dell’autonomia editoriale del giornale.

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Furono per Balzan gli anni del compromesso: pressioni, forse anche minacce, di sicuro fu aggredito una volta, nella storica Galleria milanese. Testimoni dell’epoca hanno riferito di giochi di potereCollegamento esterno e di un Balzan impegnato in complicati equilibrismi fra i vecchi e i nuovi proprietari della testata, nei tormentati anni in cui Mussolini prese il controllo del Paese. Balzan definito antifascista dai fascisti, e al tempo stesso accusato dagli antifascisti di collaborazionismo. Anni di tensioni che misero a dura prova amicizie cui teneva, soprattutto nel mondo della musica e dell’arte, con intensi conflitti che nel gennaio del 1933 lo porteranno a dare le dimissioni dal giornale, per trasferirsi in Svizzera.

Ritratto in bianco e nero di Eugenio Balzan.
Gli anni del Corriere della Sera: nel 1923 Eugenio Balzan aveva 49 anni. Fondazione Eugenio Balzan.

Parsimonioso, e ricchissimo

Era un accanito lavoratore e un oculato amministratore, che nonostante l’imponente fortuna prediligeva uno stile di vita parsimonioso. Sarebbero queste secondo i testimoni dell’epoca, e secondo la sua biografa Renata Broggini, le chiavi per comprendere come abbia fatto ad accumulare un enorme patrimonio. Abile a investire in borsa, acquistò pregevoli tele di pittori del tardo Romanticismo italiano che oggi fanno parte di una collezione che appartiene alla Fondazione BalzanCollegamento esterno

Collezione Balzan: Bagno Pompeiano, dipinto nel 1861 da Domenico Morelli.
Collezione Balzan: “Bagno Pompeiano”, dipinto nel 1861 da Domenico Morelli. Fondazione Eugenio Balzan

Sapeva essere generoso, Eugenio Balzan: agli atti sono rimaste donazioni a conoscenti, rifugiati politici, ospedali e persone in difficoltà. Ma sapeva anche essere avaro, e il suo stile di vita spartano era proverbiale ai tempi del Corriere, quando lui dormiva in redazione. Parsimonia che ritorna nelle note degli agenti che negli anni svizzeri lo pedinavano e sorpresi annotavano che in treno viaggiava in seconda classe, portava sempre gli stessi abiti e tutto sembrava, tranne un milionario.

Immagine in bianco e nero di Eugenio Balzan in Engadina.
Svizzera, anni Quaranta: Eugenio Balzan passeggia in Engadina. AP Franca Zighetti Bassi, Varese. Fondazione Eugenio Balzan.

Voci per un affresco storico

A dare corpo e voce a questo personaggio straordinario è stato uno sceneggiato radiofonico prodotto dalla seconda rete della Radio svizzera di lingua italiana: “Il lungo sguardo. Frammenti di vita di Eugenio BalzanCollegamento esterno“. L’autore Cesare Ferrario racconta di aver lavorato al progetto per due anni: “perché è una storia incredibile, che mi ha molto appassionato”. I dieci episodi, ognuno di circa 50 minuti, sono una travolgente immersione nella vita di Balzan, e nell’epoca storica che ha attraversato. Da un’idea di Giampaolo Tarzi, la voce narrante è diventata la figlia Lina, ed è lei ad accompagnarci alla scoperta del complesso affresco storico. Gli eventi si intrecciano con le emozioni di protagonisti e protagoniste, interpretati da attori e doppiatrici di grande esperienza.

Video: la registrazione de “Il lungo sguardo”, backstage con protagonisti e intervista al regista Cesare Ferrario. Regia di Federico Ferrario. 

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Cesare Ferrario è un navigato regista e sceneggiatore. Appassionato di storia, sempre per RSI ha realizzato una trilogia radiofonica il cui terzo episodio, sul presidente statunitense JFK, sarà diffuso nell’autunno 2023, mentre sul sito di Rete Due ci sono già i primi due, su Martin Luther KingCollegamento esterno e Michail GorbaciovCollegamento esterno. Ha riportato in vita Eugenio Balzan grazie ad un racconto coinvolgente, che mescola verità e licenze poetiche che servono a dar anima e corpo ad un uomo che molte fonti descrivono come cortese, ma anche freddo, selettivo nei rapporti umani e anaffettivo con l’unica figlia, nata da un matrimonio durato poco. Ferrario produce perle, quando mette in bocca a Benito Mussolini la frase: “Balzan trasforma le pietre in oro, è ricco da far paura!” e al fittivo giornalista del New York Times Jack Fulton fa dire, a proposito del giornalismo: “una goccia di verità in un oceano di menzogne”.

La registrazione del radiodramma Il lungo sguardo su Eugenio Balzan.
Roberto Chevalier (a destra) nei panni di Eugenio Balzan, Stefania Patruno in quelli di Lina Balzan, con il regista Cesare Ferrario durante la registrazione de “Il lungo sguardo”. Federico Ferrario/YouTube

Un personaggio tanto complesso e affascinante si meritava d’altronde un tocco di romanzo, licenza d’artista che Ferrario chiama: “la verità come somma di tante piccole bugie”. Ma ci sono anche originali d’epoca, ne “Il lungo sguardo”, ricostruzioni fedeli di passaggi fondamentali di un tempo cruciale nella storia recente del continente. Accompagnati da dialoghi avvincenti e suoni che diventano immagini grazie alle musiche, ai rumori di fondo e al sapiente montaggio.

Un’eredità milionaria

Eugenio Balzan muore il 15 luglio del 1953 in un albergo di Lugano e la figlia Lina, unica erede, decide di destinare l’enorme lascito – stimato in 33 milioni di franchi dell’epoca – a opere di beneficenza e alla nascita di una Fondazione, assecondando così il desiderio del padre che le sue ingenti sostanze fossero investite in progetti che mettessero al centro le arti, la scienza e il futuro.

L unica figlia ed erede, Angela Lina Balzan, in un immagine del 1957.
L’unica figlia ed erede, Angela Lina Balzan, in un’immagine del 1957. Fondazione Eugenio Balzan

La Fondazione che porta il suo nomeCollegamento esterno viene registrata nel 1957 in Svizzera e dal 1961 distribuisce premi a sei zeri per la letteratura e le scienze; ogni tre anni, inoltre, un premio straordinario viene dato a iniziative umanitarie che promuovano “la pace e la fratellanza fra i popoli”. A differenza del Nobel, il premio Balzan rifugge dai lustrini e dalla pomposità, preferendo uno stile istituzionale ma moderato, stile nel quale probabilmente il parco Balzan si sarebbe riconosciuto.


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