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L’odissea del sarcofago romano

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Questo contenuto è stato pubblicato il 10 settembre 2017 - 11:33
tvsvizzera.it/mar con RSI (TG del 5.9.2017)

I ginevrini hanno potuto ammirare per l’ultima volta uno splendido sarcofago romano del II secolo d.C., importato illegalmente dalla Turchia e che sarà presto riconsegnato alle autorità di Ankara. Una storia nella quale si intrecciano scavi illegali, traffici illeciti e importanti mercanti d’antichità.

Effettuando nel 2010 un controllo al Porto franco di Ginevra, i doganieri non credono probabilmente ai loro occhi quando alzano un ammasso di coperte che sembra nascondere qualcosa: sotto trovano uno splendido sarcofago in marmo bianco, ornato di bassorilievi che raffigurano le 12 fatiche di Ercole. Un pezzo di un valore inestimabile – ve ne sono solo altri tre simili nel mondo – e che soprattutto non è repertoriato.

Il sarcofago romano è stato presentato al pubblico per qualche settimana all'università di Ginevra prima di essere restituito al legittimo proprietario, lo Stato turco. Keystone


Rapidamente si sospetta che il sarcofago sia stato oggetto di un traffico illecito, trafugato verosimilmente dalla Turchia. Il Ministero pubblico ginevrino confisca l’opera d’arte e la polizia federale avverte le autorità di Ankara, che presentano una domanda di restituzione.

Il sarcofago appartiene a una società ginevrina, la Inanna Art Services, legata ai fratelli Aboutaam, tra i più importanti mercanti d’antichità al mondo. I due fratelli, che hanno sempre invocato la loro buona fede, hanno ereditato la bara dal padre, deceduto nel 1998 nel crash del volo Swissair SR111.

Nel 2016, dopo una lunga battaglia giudiziaria, la Camera penale di ricorso del cantone Ginevra respinge le richieste dei detentori della bara e ordina la restituzione alla Turchia: “È ormai stato sufficientemente appurato che il sarcofago è stato estratto dalla necropoli di Perge (nell’attuale regione di Antalya, ndr), prima del 1991 o tra il 2000 e il 2002 e in seguito esportato, in modo altrettanto illegale, dalla Turchia e importato in Svizzera”.

A rendere possibile l’identificazione del luogo di provenienza sono stati in particolare il tipo di marmo utilizzato e lo stile dei bassorilievi.

Dopo averne talmente sentito parlare, quest’estate i ginevrini hanno finalmente potuto ammirare questo capolavoro e magari immedesimarsi in Ercole che uccide l’idra di Lerna o cattura il toro di Creta. E per chi avesse perso l’occasione, c’è sempre la possibilità di fare un viaggetto in Turchia: il sarcofago sarà infatti esposto al museo di Antalya.

I porti franchi svizzeri sono spesso finiti sotto la luce dei riflettori perché utilizzati per custodire opere d’arte o beni archeologici di dubbia provenienza.

Nel 1995, a Ginevra furono scoperti migliaia di oggetti provenienti da tombe profanate, la maggior parte in Italia, e la documentazione di precedenti transazioni, molte delle quali con i più prestigiosi musei del mondo. La persona che aveva affittato i locali nel porto franco era Giacomo Medici, un importante mercante d’arte italiano, condannato nel 2012 a otto anni di carcere dalla giustizia del suo paese per traffico di reperti archeologici.

Nel 2003, sempre a Ginevra e sempre nel porto franco, furono rinvenuti oltre 200 tesori archeologici egiziani, tra cui delle mummie.

In seguito ai diversi scandali, le autorità elvetiche sono finalmente passate all’azione, adottando nel 2003 una legge per regolamentare il trasferimento internazionale di beni culturali, sulla base della convenzione sulla proprietà culturale del 1970 dell’Unesco.

I punti franchi devono sottostare alle stesse regole valide per l’importazione di beni culturali, ossia l’obbligo di dichiarare il proprietario, nonché l’origine e il valore dell’oggetto. Dal 2009 è richiesto anche un inventario completo.

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