Abortì durante il rinvio in Italia, indennizzata profuga siriana
Il Tribunale amministrativo federale sconfessa il Dipartimento federale delle finanze (DFF) e riconosce il torto subito da una gestante siriana che perse il figlio a Briga (Vallese) durante l’operazione di respingimento in Italia.
I giudici federali di San Gallo hanno accordato una riparazione di 12’000 franchi per torto morale alla profuga siriana che nell’estate 2014 ebbe un aborto spontaneo per il quale è stata ravvisata una responsabilità delle guardie di confine elvetiche dovuta alla loro passività nella vicenda. La sentenza è comunque appellabile al Tribunale federale di Losanna e non è quindi ancora definitiva.
I fatti risalgono al 4 luglio 2014: la donna, al settimo mese di gravidanza, il marito e i loro tre figli erano giunti in bus a Briga da Vallorbe, località di confine nel Canton Vaud, dopo che erano stati respinti dai doganieri francesi, insieme ad altri 36 profughi. Era stato infatti disposto il loro rinvio in Italia, lo Stato competente in base agli accordi di Dublino dove era stata inoltrata la prima richiesta di asilo.
Mentre erano in attesa del trasferimento in treno per Domodossola nei locali del posto di frontiera la giovane accusò dolori e sanguinamenti, descritti come doglie, di cui furono informate le guardie di confine elvetiche che non dettero però seguito alle richieste di chiamare un medico. Giunta finalmente a Domodossola la gestante ebbe un collasso, in seguito al quale i doganieri italiani allertarono i soccorsi che non poterono però impedire l’aborto spontaneo che si è consumato all’ospedale della cittadina piemontese.
Richiesta di danni e riparazione per torto morale
La famiglia siriana ha quindi presentato alle autorità una richiesta di riparazione morale e di risarcimento danni dell’ordine rispettivamente di 159’000 e 136’000 franchi. Secondo la legale, la donna soffre ancora tuttora di un disturbo da stress post-traumatico e di depressione causati dal senso di abbandono e dal trasferimento forzato verso l’Italia avvenuto mentre stava patendo dolori insopportabili.
Nel gennaio 2021, il Dipartimento federale delle finanze (DFF) ha respinto in prima istanza la richiesta di riparazione e risarcimento danni inoltrata dalla famiglia poiché, a suo giudizio, il comportamento delle guardie di confine, sebbene non abbiano agito correttamente, non è all’origine del presunto danno subito e manca quindi il nesso di causalità.
La donna e i suoi familiari si sono quindi rivolti al TAF che ha ammesso parzialmente il ricorso e accordato 12’000 franchi per il torto penale subito in seguito all’inazione delle guardie di confine. La durata e l’intensità delle sofferenze, hanno sentenziato i giudici di San Gallo, sono aumentate, e i luoghi dove è stata costretta ad attendere hanno pure aggravato la disperazione della donna, favorendo così l’insorgenza di problemi psichici.
Non è stata invece riconosciuto il risarcimento del danno, dato dai minori sostegni pubblici percepiti in Italia (dal luglio 2014 all’ottobre 2017) rispetto a quelli cui avrebbero beneficiato in Germania, paese dove erano diretti. La differenza di prestazioni tra Stati, sostiene la corte federale, non rappresenta un pregiudizio in senso giuridico.
Condannate guardie di confine
La vicenda ha avuto non si esaurisce però in questo procedimento civile. All’inizio dell’anno scorso la giustizia militare ha condannato – con decreto d’accusa – a pene pecuniarie (30 aliquote giornaliere da 100 a 200 franchi) per lesioni colpose e ripetuta inosservanza di prescrizioni di servizio, tre guardie di confine che a detta dei giudici avrebbero dovuto chiamare l’ambulanza, anche contro la volontà del loro superiore.
Il loro capo, un sergente maggiore, era già stato condannato nel 2018: in appello la pena detentiva gli era stata ridotta a 150 aliquote giornaliere di 150 franchi con la condizionale.
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