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Covid, primo caso di triage nelle cure intense in Svizzera

Personale infermieristico logorato e insufficiente.
Personale infermieristico logorato e numericamente insufficiente. Keystone / Peter Klaunzer

Ad Argovia un malato di tumore non ha avuto accesso alle terapie intensive per l'assenza di postazioni disponibili nel reparto. Manca soprattutto il personale formato.

A riferire l’episodio al SonntagsBlick è stato Christian Frey, vicecapo delle cure intense alla clinica Hirslanden di Aarau, che ha anche precisato che la scelta è stata operata con il consenso degli interessati ma, ha avvertito il dirigente, “se i casi di Covid-19 aumenteranno, cresceranno pure gli episodi di cernita” dei pazienti.

Ma quello di Aarau non sembra destinato ad essere un caso isolato in Svizzera, come del resto aveva aveva paventato il mese scorso la presidente della Task Force scientifica della Confederazione Tanja Stadler.

In tutto il canton Zurigo, ad esempio, non vi è più un solo posto libero nelle terapie intensive e sabato il Centro ospedaliero universitario vodese (CHUV) a Losanna ha qualificato la situazione come “preoccupante”.

Alcuni letti di terapia intensiva saranno aggiunti questa prossima settimana nella struttura sanitaria ma risulta sempre più difficile, alla luce dell’evoluzione epidemiologica generale nel paese  – particolarmente difficile nella Svizzera centro-orientale – trasferire i pazienti in altri nosocomi.

Manca personale qualificato

Nel corso della prima ondata pandemica l’Accademia svizzera delle scienze mediche (ASSM) e la Società svizzera di medicina intensiva (SSMI) avevano pubblicato linee guida comuni – che integravano altre direttive già esistenti – per le decisioni riguardanti il triage dei pazienti in terapia intensiva, una pratica riservata a situazioni di guerra e catastrofe, quando le risorse mediche scarseggiano per tutti.

Questo documento indica in particolare che il criterio decisivo per rifiutare l’accesso alla terapia intensiva – indipendentemente dall’origine del problema di salute, sia esso il coronavirus o no – è la pessima prognosi a breve termine, come ha spiegato al SonntagsBlick Miodrag Filipovic, membro della direzione della SSMI (e responsabile delle terapie intensive all’ospedale cantonale di San Gallo).

A sorprendere, rilevano gli esperti, è che nonostante il numero di ricoverati durante l’ondata pandemica di un anno fa fosse superiore, in quell’occasione non si arrivò alla selezione di pazienti.

La ragione, ha spiegato Yvonne Ribi, direttrice dell’Associazione svizzera delle infermiere e degli infermieri (ASI), è la mancanza di personale qualificato, logorato da due anni di lavoro massacrante e anch’esso colpito in parte dal coronavirus.

Misure insufficienti

A peggiorare il quadro c’è poi l’inizio della stagione turistica invernale che in alcuni cantoni alpini come i Grigioni ha comportato un’occupazione delle terapie intensive al 40-60% a causa degli incidenti che si sono verificati già in novembre sulle piste da sci.

Per gli operatori sanitari al fronte le misure prese finora dal governo federale e dai cantoni, comprese quelle di venerdì scorso, sono insufficienti per contrastare l’espansione della pandemia, trainata dalle nuove varianti che si aggiungono di continuo e a subire i contraccolpi maggiori del Covid sono le strutture ospedaliere. Sugli ultimi provvedimenti il servizio del Tg.

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In definitiva, ripete Christian Frey della clinica Hirslanden di Aarau, non ci sono alternative alla vaccinazione, considerato soprattutto il fatto che nel suo nosocomio “tutti i pazienti malati di Covid-19 in cure intense non hanno ricevuto il siero”.


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