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Corsi per trovare lavoro in Svizzera nel Varesotto, imprese preoccupate

Frontalieri in coda alla dogana.
Iniziative formative contrapposte a cavallo della frontiera. tvsvizzera

Mentre politica ed associazioni economiche italiane lamentano l’esodo del personale oltre frontiera, vengono organizzati corsi per agevolare le e i giovani nella ricerca di un’occupazione nella Confederazione.

Finora bastava il passaparola o l’invio di candidature spontanee. Ora per lavorare in Svizzera, varcando quotidianamente la frontiera, ci sono formazioni specifiche. Da maggio a Luino (Alto Varesotto) si tengono corsi organizzati dall’ufficio In-formaLavoro, con il sostegno della Provincia di Varese, rivolto soprattutto ai giovani che desiderano trovare un’occupazione nella Confederazione.

Un’iniziativa sicuramente lodevole che stride però con gli allarmi lanciati da politici, associazioni economiche ed enti pubblici, soprattutto nell’ambito sanitario, confrontati con la carenza endemica di personale, dovuta per lo meno in parte all’esodo di manodopera verso la Svizzera, dove notoriamente i salari sono più pesanti. L’esplosione del numero di frontalieri negli ultimi vent’anni nella Svizzera italiana (erano 32’000 nel 2002 e oggi superano i 77’000) lo testimonia.

Varie iniziative per trattenere la manodopera

Proprio a margine del dibattito parlamentare sulla ratifica dell’accordo fiscale riguardante le frontaliere e i frontalieri si è parlato dell’assegno integrativo (premio fiscale) da destinare a chi è assunto nelle aziende a ridosso della frontiera.

“Non possiamo competere con gli stipendi svizzeri, le differenze restano notevoli”

Pasquale Diodato, CNA Como

In gennaio è stata consegnata una petizione, promossa dal sindacato UIL, alla Regione lombarda che chiede indennità “di frontiera” per il personale sanitario impiegato nelle strutture delle province di confine, altri invece (in particolare i politici leghisti) chiedono l’istituzione di zone economiche speciali (ZES).

Tutte iniziative finalizzate a defiscalizzare in vario modo, anche a livello contributivo, gli stipendi nelle province settentrionali al fine di prevenire la fuga di dipendenti e conseguentemente di know-out, evitando così la temuta “desertificazione produttiva” dei territori di confine.

Corsi per trovare lavoro oltre confine

Proprio a Luino Confindustria Varese ha promosso un’iniziativa di segno diametralmente opposto a quella citata di In-formaLavoro che ha lo scopo di trattenere e fidelizzare il personale attratto dalle sirene (paghe) elvetiche. Un corso post-diploma IFTS di un anno di specializzazione in robotica e automazione che coinvolge già una decina di aziende locali, che hanno assunto una quindicina di giovani. Il progetto formativo è realizzato in collaborazione con la fondazione ITS-Incom e lo stesso Comune di Luino.

“È una richiesta partita dalle aziende della zona per sopperire alla mancanza di determinate professionalità, soprattutto in un distretto come il nostro dove ci sono diverse società specializzate nella robotica”, ci dice Giovanni Berutti, promotore del progetto che partirà a settembre e titolare della Spm spa di Brissago Valtravaglia.

Il fatto poi che una volta formati i e le giovani possano attraversare il confine non preoccupa più di quel tanto l’imprenditore luinese: “Non sarebbe una novità, noi cerchiamo di offrire le migliori condizioni di lavoro alle persone che intendono iniziare un percorso innovativo che le renda facilmente impiegabili nel mercato del lavoro”.

“Negli ultimi anni si assiste ad un aumento del 30-40% delle partenze di infermieri/e verso le strutture sanitarie della Confederazione”.

Giuseppe Chindamo, OPI Como

 Del resto “l’alternativa – continua Giovanni Berutti – è quella di non formare, vale quindi la pena correre questo rischio”. In proposito il presidente della fondazione ITS Incom che collabora al progetto, Benedetto Di Rienzo, ritiene che da questa formazione, che è “un’assoluta novità in Italia, (…) possa innescarsi un senso di appartenenza e una fidelizzazione” dell’apprendista che riduca il rischio della fuga di questo tipo di figure professionali.

Penuria di dipendenti nell’artigianato

Bisogna però essere consapevoli, avverte Pasquale Diodato, presidente della Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa (CNA) di Como, che “la ricetta definitiva non ce l’ha nessuno”. Anche se si agisce sul cuneo fiscale (detassazione del costo del lavoro sopportato da aziende e lavoratori), come sta facendo il Governo, o si istituiscono le Zone economiche speciali (ZES) a fiscalità agevolata, precisa il rappresentante degli artigiani, “non possiamo competere con gli stipendi svizzeri, le differenze restano notevoli”.

Il problema del reperimento di personale nelle ditte di confine è acuito poi dal fatto che in questo momento le commesse ci sono, anche grazie ai fondi del PNRR.

 Quali le soluzioni quindi? Per Pasquale Diodato la politica dovrebbe da un lato fornire “qualche forma di riconoscimento alle imprese che operano vicino al confine perché da sole non ce la possono fare” e dall’altro intervenire sul piano della formazione poiché “non è corretto che un dipendente, per il quale il sistema regionale versa dei soldi a tale scopo, poi se ne va” all’estero.

Fuga degli infermieri

Ma non è solo il settore dell’industria e dell’artigianato a soffrire la concorrenza elvetica. È proprio di questi giorni l’allarme lanciato dall’Ordine delle professioni infermieristiche (OPI) di Varese. Nel 2022, ha evidenziato il presidente Aurelio Filippini, ci sono state 350 partenze, a fronte di una media annua di 150. E per la prima volta le cancellazioni dall’albo delle infermiere e degli infermieri hanno superato il numero di nuovi iscritti.

Un’evoluzione analoga si registra anche nel Comasco, come ci conferma il responsabile dell’ordine lariano Giuseppe Chindamo, secondo cui “anche a Como per la prima volta sono di più le uscite rispetto ai nuovi iscritti”. Le prime, ha continuato il presidente dell’OPI di Como, sono state sopra i duecento quando normalmente se ne andavano alcune decine all’anno.

Naturalmente non tutti lasciano l’ordine lariano per lavorare in Canton Ticino. Le cancellazioni contemplano i pensionamenti, i cambi di professione e le rinunce al lavoro per i motivi più disparati. In ogni caso negli ultimi anni, sottolinea Giuseppe Chindamo, si assiste ad un aumento del 30-40% delle partenze verso le strutture sanitarie della Confederazione. “È un fenomeno che c’è sempre stato qui nel Comasco – ha precisato – ma dal periodo del Covid e dalla successiva crisi economica la tendenza si è intensificata”.

Non è solo una questione salariale

L’aspetto problematico è che se prima ad andarsene erano i giovani, magari alla prima esperienza lavorativa, ora sono infermiere e infermieri esperti, spesso con specializzazioni particolari che vengono a mancare negli organici degli ospedali e delle altre strutture sociosanitarie.

“Cerchiamo di offrire le migliori condizioni di lavoro alle persone che intendono iniziare un percorso innovativo che le renda facilmente impiegabili nel mercato del lavoro”.

Giovanni Berutti, SPM Brissago Valtravaglia

Ma non è solo una questione salariale, secondo il presidente dell’ordine comasco. In Svizzera, spiega, viene premiata la carriera, ogni anno sono previsti scatti e vengono impartiti corsi interni: “il sistema sanitario investe sul personale, dando la possibilità di crescere professionalmente, ti senti parte di un progetto” mentre in Italia c’è un alto livello di professionalità ma non viene riconosciuto.

Un infermiere che fa il coordinatore o il responsabile d’area, insiste Giuseppe Chindamo, “alla fine prende sempre lo stesso stipendio”, si parla di poco più di 100 euro di differenza rispetto ai colleghi.    


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