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Svizzera-UE, saranno consultati cantoni e partner sociali

Prima di prendere una decisione sulla politica europea, il governo svizzero vuole consultare i cantoni e i partner sociali. Il nodo "interno" va risolto per giungere a un'intesa con Bruxelles, ha sottolineato il ministro degli esteri Ignazio Cassis.

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Le relazioni tra Berna e Bruxelles sono regolate da oltre cento accordi bilaterali: libera circolazione, appalti pubblici, agricoltura, trasporti aereo e terrestre, tassazione dei risparmi… Con il passare degli anni – e il moltiplicarsi degli accordi – l’edificio è divenuto estremamente complesso. Talmente complesso che l’UE vorrebbe disciplinarlo attraverso un accordo quadro istituzionale.

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I negoziati sono in corso da anni e sono ormai entrati nella fase finale. Rimangono tuttavia delle divergenze. Oltre alla questione dell’istituzione di un tribunale incaricato di dirimere le vertenze tra i due paesi sull’interpretazione e l’applicazione di determinati trattati, un altro punto di attrito tra Berna e Bruxelles riguarda le misure di accompagnamento alla libera circolazione.

Queste misure permettono alla Svizzera di controllare che le condizioni salariali e sociali applicate ai lavoratori distaccati da aziende straniere nella Confederazione rispettino le norme. Alcuni aspetti di questi provvedimenti – ad esempio la regola degli otto giorni – non sono però mai piaciuti a Bruxelles. L’UE domanda in sostanza che la Svizzera riprenda le sue regole in materia di lavoratori distaccati.

Linee rosse

Nelle scorse settimane il ministro degli esteri Ignazio Cassis si è detto pronto a ridiscutere queste regole, suscitando però l’ira dei sindacati e della sinistra, che temono il dumping salariale. Cassis è anche stato richiamato all’ordine dagli altri membri del Consiglio federale. “Le misure d’accompagnamento sono una linea rossa che non va toccata”, ha in sostanza ribadito la maggioranza del Governo.

Mercoledì, informando dei progressi sul futuro accordo istituzionale con l’UE, Cassis ha confermato questa linea tracciata dal Governo: la Svizzera non intende cedere sulla protezione dei salari e sulla regola degli otto giorni.

Tuttavia, secondo il ministro degli esteri su quest’ultimo aspetto, che riguarda per esempio quei lavoratori cosiddetti “distaccati” che vengono inviati in Svizzera a lavorare per un periodo di 90 giorni al massimo, vi è “una finestra di opportunità” per parlarne con i partner sociali e i Cantoni, tenuto conto anche del fatto che l’UE ha nel frattempo adottato nuove direttive in materia.

L’obiettivo è di discutere con le parti interessate in Svizzera su come preservare la protezione dei lavoratori tenendo conto delle direttive europee.

Meglio nessuna intesa, che una cattiva intesa.

Cassis ha poi ribadito la volontà del Governo di giungere ad un accordo in autunno, ossia prima delle elezioni in Svizzera e in seno all’UE. Da qui il bisogno di accelerare il processo di chiarificazione interno. “Tuttavia – ha sottolineato Cassis – non siamo disposti ad accettare qualsiasi accordo”.

Quanto ai meccanismi per risolvere le future vertenze con l’UE, secondo il responsabile dei negoziati Roberto Balzaretti, sono stati fatti dei progressi. Anzi, a suo dire, l’intesa che si delinea è migliore di quella esistente tra l’UE e l’Ucraina.

Il futuro tribunale arbitrale, composto da tre giudici – uno nominato dall’UE, uno dalla Svizzera e un giudice terzo – deciderà in maniera autonoma e si rivolgerà alla Corte europea di giustizia se e quando riterrà che un determinato problema tra Berna e Bruxelles riguardi l’interpretazione del diritto europeo.

L’analisi del corrispondente della RSI a Berna Fabio Storni:

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