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A “Mare Nostrum” il Nobel della pace? Per ora l’Europa preferisce litigare

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Di Aldo Sofia

Tutti abbiamo negli occhi quelle immagini. Tanto ripetute da diventare quasi “banali”. Stazione centrale di Milano, a metà scala dell’androne principale, sulle aree adibite ai passeggeri in attesa, ogni giorno decine persone accampate, assistite dai volontari, fiduciosi di essere portati in un rifugio più dignitoso, ma soprattutto desiderose di riprendere il loro viaggio verso il Nord Europa. Sono per lo più siriani fuggiti dalla tragica guerra che in tre anni ha già fatto 170.000 morti, un numero imprecisato di feriti, e tre milioni di rifugiati nei paesi confinanti.

Quell’ “accampamento” improvvisato sotto le alte volte di una delle stazioni ferroviarie più trafficate del continente, è senz’altro il simbolo di un dramma; ma ora lo é anche dell’ennesima diatriba di un’Unione europea incapace di concordare una politica sull’immigrazione. L’Italia è infatti sotto accusa. Al Paese più impegnato nel salvataggio dei “disperati” in mare, si rimprovera di non rispettare gli accordi detti di “Dublino 2”. Quell’intesa recita che la nazione di primo ingresso è responsabile delle procedure sulle richieste d’asilo, e che nello stesso paese di prima accoglienza devono essere rispediti i clandestini che avessero raggiunto clandestinamente altre mete UE.

L’Italia non lo fa sempre. Anzi, lo fa assai poco. Ancor meno da quando le coste meridionali sono prese d’assalto dai migranti spinti da fame e repressione, e, di questi tempi, soprattutto dai conflitti che piagano i paesi a sud del Mediterraneo, Siria in testa. Dall’inizio dell’anno, in 120 mila hanno raggiunto il vecchio continente. Per lo più sulle “carrette del mare” che attraversano perigliosamente il Canale di Sicilia.

Roma non si affanna certo a negare il problema del mancato rispetto di “Dublino 2”. Registrare e accogliere tutti i migranti sarebbe obiettivamente un impegno titanico. E non é certo una colpa se la Penisola é geograficamente la più esposta ai flussi migratori. Ma, soprattutto, l’Italia ritiene di fornire già un impareggiabile contributo con le missioni umanitarie dell’operazione “Mare Nostrum”: che , secondo le cifre del Viminale, in meno di un anno (dalla strage dell’ottobre 2013, quando in mare perirono oltre 300 naufraghi) ha soccorso e spesso salvato 60 mila immigrati (fra loro un numero di donne e bambini senza precedenti), arrestando ben 539 “scafisti”. Costo dell’ Operazione, 9,5 milioni di euro al mese, solo in parte compensati dai sussidi europei, sostiene Roma: che minaccia di sospendere presto le i soccorsi senza un impegno diretto da parte di Frontex, in sostanza degli altri paesi UE.

Lamentele e minacce più volte espresse da Angelino Alfano, ora definito “uno sfacciato” dal suo collega bavarese, il ministro regionale degli interni Joachim Hermann. Che ha pubblicamente denunciato il mancato rispetto degli accordi sui rifugiati. Cifre alla mano: l’anno scorso la Germania ha accolto 126 mila richieste d’asilo; l’Italia soltanto 27.930, proprio perché la maggioranza li lascia partire verso Nord. E negli scorsi giorni, discretamente, ma sembra altrettanto schiettamente, in sede UE la consigliera federale Simonetta Sommaruga si é unita alle proteste tedesche.

A questo punto, delle due l’una: o si rivedono gli accordi di Dublino tenendo conto che la stragrande maggioranza dei profughi non intende rimanere in Italia; oppure, che navi soccorso di altri Paesi UE (che farebbero da “primo ingresso”) affianchino quelle della marina italiana. Tertium non datur, a meno di nuove mega-tragedie in mare.

C’é chi ha proposto di assegnare proprio a “Mare Nostrum” il prossimo Nobel per la pace. E forse, a questo punto, sarebbe più meritato di quello che pochi anni fa l’Accademia di Oslo attribuì proprio a un’Unione Europea che oggi si divide e litiga su un’autentica emergenza umanitaria.

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