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“Gomito a gomito”, la sartoria dietro le sbarre

Borse, pochette, astucci, grembiuli: confezionati nel carcere di Bologna, sono destinati a mercatini di tendenza ma anche a grossi committenti

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Maria è russa, ha 36 anni ed è detenuta dalla primavera del 2006. Da allora, non vede i suoi cinque figli. Da un po’ di tempo ha una cella per sé, un lusso che, nelle sovraffollate carceri italiane, è difficile riuscire ad avere. “Non durerà tanto, penso. Avrò presto una nuova compagna”, racconta.

In quella cella della Casa circondariale di Bologna, però, Maria non passa molto tempo: per metà giornata lavora al laboratorio di sartoria Gomito a Gomito. Crea, disegna, cuce e rifinisce borse, pochette, sacche da mare e molto altro. Il resto del tempo lo passa tra le lezioni e lo studio perché si sta diplomando.

Insieme a lei lavora anche Elizabete, rinchiusa dal 2009, con una condanna a 16 anni. Viene da Riga ed è un vulcano: oltre a cucire borsette che da qualche anno, ormai, sono di moda in regione e si trovano nei mercatini di tendenza, ha cominciato con le altre a confezionare testiere, astucci e grembiuli per il marchio svedese Ikea, che ha donato rotoli di stoffa. “È una cosa che mi rende molto orgogliosa e ci metto tutta la passione che ho”, spiega con uno spillo tra le labbra.

Sono 64, in questo momento, le detenute della casa circondariale. Di queste, ora, sono tre quelle che lavorano per la Cooperativa Sociale Siamo qua, che gestisce il progetto. Dal 2010, tante ragazze hanno avuto la possibilità di imparare il mestiere. “Le donne che possono venire a lavorare qui vengono selezionate dalla direzione, dagli educatori e dal sistema penitenziario. Devono avere un certo equilibrio psicologico: siamo a contatto con forbici, aghi e corde, che vanno contati ogni mattina e ogni sera”, racconta Enrica Morandi, una delle volontarie del progetto.

Le ragazze sono regolarmente assunte e ricevono uno stipendio che permette loro di mantenersi.

Eva Pedrelli
ha collaborato Annalisa Dall’Oca

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