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Il protezionista Trump nel “tempio del libero commercio”

L'arrivo di Donald Trump al Forum economico mondiale (Wef) di Davos, nel canton Grigioni si è svolto all'insegna delle buone maniere. Ma le premesse fanno supporre che il presidente americano sia sbarcato nel tempio del libero commercio mondiale per lanciare la sua offensiva protezionistica. Tanto per cominciare, portando in dote nuovi dazi ai prodotti che non sono "made in USA".

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Domani parlerà alla platea dei big dell’economia, alfieri della globalizzazione. Con l’obiettivo di “convincere la gente a investire nel Stati Uniti”, ha twittato lo stesso Trump prima di partire. Vendere il prodotto ‘America’, quindi, e forse niente di più. Perché il tycoon ha fin qui dimostrato di essere allergico ai grandi accordi di libero scambio, che a suo dire indeboliscono l’economia a stelle e strisce e minacciano i posti di lavoro.

Per dimostrare che fa sul serio, Trump nei giorni scorsi ha imposto dazi all’import di pannelli solari e lavatrici. Ed ha annunciato una possibile stretta anche sulle importazioni di alluminio e acciaio. Il suo ministro del Commercio, Wilbur Ross, ha sottolineato la natura difensiva dell’intervento, per gestire “comportamenti inappropriati” di altri paesi come la Cina, che starebbe facendo concorrenza sleale con i bassi costi di materiali e manodopera. Tanto che Pechino, forse accusando il colpo, oggi ha invocato la cooperazione come “unica direzione” dei rapporti commerciali con gli USA. Sempre da Davos, anche il segretario al Tesoro Steven Mnuchin ha utilizzato toni più morbidi rispetto al suo presidente, spiegando che gli Stati Uniti “sono favorevoli al libero mercato”, ma semplicemente stanno cercando di “proteggere gli interessi degli americani, come dovrebbero fare tutti i leader”.

Resta il fatto che Trump ha ritirato il proprio paese dall’accordo commerciale con i paesi asiatici, ha chiesto modifiche a quello con Messico e Canada ed ha abbandonato l’idea di un trattato transatlantico con l’Europa. Il tycoon, ricorda Ross, preferisce gli accordi bilaterali, “più veloci”. A Davos, ad esempio, ha strizzato l’occhio alla premier britannica Theresa May. Evocando, durante un faccia a faccia, un trattato Washington-Londra che farebbe crescere gli scambi in modo “enorme”. Poco dopo l’incontro Downing Street ha annunciato una visita del leader americano nel Regno Unito “nei prossimi mesi”, senza però precisare una data.

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Tutto è pronto, quindi, per il discorso del presidente, nel primo pomeriggio di domani. I principali partner europei e non solo, dalla cancelliera tedesca Angela Merkel al presidente francese Emmanuel Macron, dal premier indiano Narendra Modi Modi a quello italiano Paolo Gentiloni, si sono già espressi, facendo fronte comune contro Trump il protezionista. Gentiloni ancora oggi ha ribadito che il suo paese vuole un mondo in cui la “cooperazione è una componente fondamentale delle relazioni internazionali” e “non un ritorno di protezionismi e chiusure nelle singole frontiere”.

Ora resta da vedere quanto sarà convincente lo “special guest” di Davos, che certamente farà un ritratto di un paese che scoppia di salute dopo il suo primo anno alla Casa Bianca, culminato con il taglio delle tasse e il boom di Wall Street. Stasera, c’è stata un’anteprima a cena con i grandi manager europei (industria, farmaceutica, energia, servizi finanziari, tecnologia, cibo).

Incontro con Netanyahu

Nella sua prima giornata svizzera Trump ha incontrato anche il premier israeliano Benyamin Netanyahu. Avvertendo i palestinesi che non riavranno i fondi americani se non torneranno al tavolo dei negoziati con Israele. Allo stesso tempo, ha puntualizzato che anche gli israeliani dovranno fare delle concessioni, come prezzo per aver ottenuto il riconoscimento di Gerusalemme come capitale. In programma c’era anche un faccia a faccia con il presidente ruandese Paul Kagame. Poco tempo dopo l’imbarazzante uscita del tycoon sui paesi africani, liquidati come ‘shitholes’.

Tra gli altri bilaterali domani è in programma un breve incontro con il presidente della Confederazione Alain Berset, il ministro dell’economia Johann Schneider-Ammann e il consigliere federale ticinese Ignazio Cassis.

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