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Conflitto in Ucraina, uno svizzero mette le basi per un tribunale speciale

Il consigliere nazionale neocastellano Damien Cottier.
Il Consiglio d'Europa sta lavorando all'allestimento di un tribunale internazionale speciale le cui fondamenta sono state gettate anche da uno svizzero: Damien Cottier. ©keystone/peter Schneider

Gli orrori della guerra in Ucraina, la prospettiva di un tribunale speciale internazionale: la testimonianza del consigliere nazionale Damien Cottier, relatore del Consiglio d'Europa.

In relazione alla guerra in Ucraina, a livello internazionale, non si sta solo discutendo di armi e non si sta solo agendo sul piano diplomatico. Il Consiglio d’Europa sta infatti lavorando all’allestimento di un tribunale internazionale speciale.

Ebbene, le fondamenta di questo cantiere sono state gettate anche da uno svizzero: si tratta di Damien Cottier, consigliere nazionale neocastellano e, a Strasburgo, presidente della Commissione affari giuridici e diritti umani, per la quale ha redatto un rapporto.

Tutto è iniziato con una risoluzione depositata al Consiglio d’Europa. L’Ufficio dell’Assemblea parlamentare l’ha inoltrata alla Commissione che presiedo affinché venisse redatto un rapporto. E fin qui si tratta della procedura ordinaria. Diversi colleghi mi hanno quindi chiesto di prendere in mano il dossier. Forse anche perché sono svizzero, con uno sguardo un po’ più distante dal conflitto in Ucraina. Me l’hanno chiesto e ho accettato.

È un mandato che lei ha accettato subito, oppure ha dovuto rifletterci un po’ ?

Ci ho riflettuto. Si trattava di un incarico di una certa portata in termini emozionali e di lavoro. Ho accettato, onorato della richiesta, anche perché mi è sembrato un contributo utile alla riflessione internazionale in corso su come poter interrompere il conflitto e fare giustizia. Mi è sembrata la cosa giusta da fare.

“Ho visto un luogo di vita dove la vita si è fermata da un giorno all’altro”.

Damien Cottier, consigliere nazionale

In cosa è consistito il suo lavoro? Le ha preso molto tempo ?

Mi ha preso tempo, ma non eccessivamente. Si è trattato di un lavoro compatibile, sia con il mio mandato di consigliere nazionale a Berna, sia di deputato al Consiglio d’Europa. È un compito che richiede riflessione e non poco lavoro all’interno della Commissione. Basti pensare che oltre alle sedute abbiamo organizzato tre audizioni con altrettanti esperti. Poi c’è stato tutto un lavoro di redazione e rilettura, accanto a tutta una serie di incontri con varie personalità. C’è poi anche stato un viaggio in Ucraina, per renderci conto della situazione a Kiev e nei dintorni.

Lei, lo ha anticipato, si è recato anche sul terreno: per esempio anche a Bucha. Come ha vissuto quei momenti ?

Sono momenti molto forti, perché a un certo punto ti trovi proprio lì a parlare con i testimoni di quel che è manifestamente un crimine di guerra. Ci siamo per esempio recati nei pressi di una chiesa ortodossa, dove sono state sepolte più di 100 persone assassinate per strada. Erano civili che stavano semplicemente andando a trovare i loro parenti o che stavano andando a fare la spesa. Persone che non costituivano alcuna minaccia. È stata commovente questa immersione nelle atrocità, spiegata e raccontata da chi ti sta di fronte. Ho percepito un contesto che mi si è manifestato da solo. Siamo però anche stati nella vicina città di Irpin, dove sono stati fermati carri russi. Lì abbiamo visto tutti gli stabili colpiti dai carri armati nonostante fossero abitati. Per rendere l’idea del genere di palazzi, è come se ci si trovasse nella periferia di Berna. E l’immagine è quella della distruzione accompagnata dall’odore di bruciato. Ho visto un luogo di vita dove la vita si è fermata da un giorno all’altro. E questo non è conforme al diritto internazionale, perché non si ha il diritto di sparare contro strutture civili.

Cosa l’ha colpita particolarmente?

La vastità dei danni a Irpin: il 70% della città è stata distrutta o danneggiata. E il fatto che si tratti di luoghi dove abitavano famiglie di case o appartamenti, su cui si è sparato di proposito. Abbiamo visto stabili sventrati… con da qualche parte un lavandino, tavoli da cucina con apparecchiata la colazione o peluche nelle stanze… La vita quotidiana delle persone è stata spezzata da una guerra che è entrata nel loro soggiorno. È qualcosa che le Convenzioni di Ginevra vietano, perché anche la guerra ha le sue regole: e queste regole dicono appunto che non si spara su abitazioni civili. A Irpin non si sono fermati ed è qualcosa di scioccante.

“La vita quotidiana delle persone è stata spezzata da una guerra che è entrata nel loro soggiorno”.

Damien Cottier, consigliere nazionale

È cambiato il suo modo di vedere la guerra, la prospettiva, rispetto a prima che iniziasse questo suo lavoro, quindi da parlamentare a Palazzo federale ?

Non credo sia cambiata perché in fondo è stata la conferma di quel che temevo di vedere, dopo aver già ricevuto dei rapporti sulla situazione o aver visto servizi giornalistici. È però qualcosa che vivi in modo diverso, quando ne diventi testimone oculare. A Bucha, se vogliamo, eravamo testimoni indiretti perché i corpi erano già stati recuperati dalle fosse comuni dagli inquirenti internazionali e ucraini, per la loro identificazione. A Irpin invece, abbiamo visto tutto con i nostri occhi. Ti colpisce di più e ti senti ancora più credibile nel raccontarlo, perché lo hai vissuto tu stesso.

Lei non è il primo svizzero che redige un rapporto per il Consiglio d’Europa: possiamo pensare a Dick Marty sui voli segreti della CIA, sui traffici d’organi in Kosovo… È qualcosa che espone. Lei ha qualche timore in questo senso?

Direi che è qualcosa che fa parte dell’attività politica: a cui ci si deve approcciare facendo quel che è giusto fare. C’era un mandato istituzionale conferito da una commissione del Consiglio d’Europa che presiedo, e ho fatto il mio lavoro. Non credo ci sia da pensare oltre.

Lei è ottimista, in qualche modo, sulla fine del conflitto ?

Sono ottimista di natura e per convinzione. In questo caso le sensazioni non mi portano a essere ottimista su una cessazione a breve termine del conflitto, viste anche le forze in campo. Sono per contro ottimista sul fatto che prima o poi si arriverà a una soluzione – perché tutti i conflitti in fondo sono stati risolti con una soluzione diplomatica – sperando che avvenga il più presto possibile. Bisogna lavorarci, ma penso che l’allestimento di un apparato, di un sistema giudiziario internazionale sulla guerra in Ucraina, contribuisca a mettere una certa pressione in questa direzione. È appunto anche per questo che ho accettato il mandato: va a mettere un’ importante pressione politica e giuridica che può aiutare sia un processo di pace, sia un processo di riconciliazione nella regione, molto importante per le vittime. Se dunque avremo contribuito a mettere anche una piccola goccia in questo immenso mare di lavoro necessario per la pace, tanto meglio.

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