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Come i dazi di Trump stanno avvicinando la Svizzera all’UE

trump mostra cartello con i dazi
Donald Trump aveva annunciato dazi al 31% per la Svizzera durante il "Liberation Day". Ora sono al 39%. Keystone-SDA

I dazi americani hanno provocato uno shock in Svizzera. Danno slancio a coloro che sostengono un legame più stretto con l'Unione Europea e rappresentano una conferma dell'avvicinamento internazionale nella politica di sicurezza. Analisi. 

La votazione popolare sugli Accordi Bilaterali III, il nuovo pacchetto di trattati con l’UE, sarà la decisione più importante della Svizzera in materia di politica estera. Il Parlamento ne discuterà solo nel 2026 e ci vorrà ancora più tempo prima che si tenga la votazione, ma il dibattito è già acceso. 

L’annuncio dei dazi americani il 1° agosto – proprio nel giorno della Festa nazionale svizzera – ha ulteriormente alimentato la discussione. E ha dato slancio a chi sostiene l’accordo con l’UE. 

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I dazi record del 39% imposti dagli Stati Uniti sulle merci svizzere sono entrati in vigore il 7 agosto. La misura ha avuto un forte impatto sull’opinione pubblica elvetica. 

Le sovrattasse rappresentano uno shock in particolare per l’industria orientata all’export: il direttore di Swissmem, l’associazione dell’importante settore dell’industria tecnologica, ha parlato senza mezzi termini di un “attacco alla Svizzera”. Rappresentanti industriali e del mondo politico temono una massiccia perdita di posti di lavoro. Alcune aziende hanno già annunciato il ricorso al lavoro ridotto.

I dazi sono uno shock anche per un altro motivo: la Svizzera è stata uno dei primi Paesi a negoziare con il presidente americano Donald Trump, dopo che quest’ultimo aveva annunciato dazi generalizzati durante il suo ‘Liberation Day’ all’inizio di aprile. All’epoca, i dazi prospettati per la Svizzera erano del 31%. 

Il Governo ha reagito rapidamente e ha annunciato a sua volta un “accordo”: si era giunti a una dichiarazione congiunta che prevedeva dazi di gran lunga inferiori (alcune fonti hanno parlato del 10%) sui prodotti svizzeri.

Questo era perfettamente in linea con l’autoconsiderazione della Svizzera come “repubblica sorella” degli Stati Uniti: quando la presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter ha dichiarato all’inizio di luglio di aver trovato “un canale” con Trump, ciò è sembrato confermare la posizione privilegiata del Paese. 

Qualsiasi altra cosa non sarebbe stata coerente con l’autopercezione svizzera di essere un “caso speciale”. Questo pensiero accompagna la politica elvetica sin dal XIX secolo. Ha fornito una giustificazione per la neutralità nelle guerre mondiali e ha alimentato la Difesa spirituale del Paese, che durante la Guerra fredda ha portato alla schedatura di figure dell’opposizione. 

Dall’inizio degli anni Novanta, “l’eccezionalismo della Svizzera” è diventato uno slogan politico per sostenere che la Confederazione debba restare ai margini del processo di integrazione europea. 

I dazi colpiscono soprattutto il partito con l’elettorato più grande, l’Unione democratica di centro (UDC, destra sovranista), mettendola di fronte a un dilemma. Esponenti di alto livello dell’UDC hanno più volte espresso ammirazione per Donald Trump e richiesto un legame economico più stretto con gli Stati Uniti – con l’obiettivo di ridurre il commercio con l’UE. Quest’ultimo rappresenta circa la metà delle esportazioni svizzere, mentre quello verso gli USA è di circa il 18%. 

La rivista liberale di destra Nebelspalter ha subito individuato i colpevoli del danno economico: gli europeisti di sinistra nel Governo e nell’Amministrazione hanno sabotato i negoziati con gli USA per imporre al popolo gli Accordi Bilaterali III con l’UE. Un’accusa che ruota attorno a un “gruppo apparentemente influente di diplomatici e funzionari”, per la quale però non esistono prove. 

La stessa Keller-Sutter ha fornito una versione diversa: nella conferenza stampa del 7 agosto ha sottolineato che il presidente Trump ha chiarito fin da subito che voleva dazi elevati a causa del disavanzo commerciale con la Svizzera. 

Nonostante le spiegazioni della presidente della Confederazione, si continua a discutere animatamente sulle cause del fallimento dei negoziati. Ciò che è certo, però, è che gli Accordi Bilaterali III – almeno per ora – stanno guadagnando consensi.

La presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter e il consigliere federale Guy Parmelin durante una conferenza stampa
La presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter e il consigliere federale Guy Parmelin durante la conferenza stampa sulle relazioni commerciali con gli Stati Uniti, 7 agosto 2025. Keystone / Peter Schneider

Il rapporto con l’UE è la questione più spinosa 

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Un’adesione all’UE non è un tema di discussione in Svizzera, poiché secondo i sondaggi una maggioranza schiacciante vi si oppone. Il dibattito si concentra piuttosto sul grado di avvicinamento al mercato interno europeo, alle istituzioni e alle infrastrutture. La maggior parte dei partiti sostiene gli accordi negoziati. La destra, di orientamento isolazionista, vuole invece mantenere la massima distanza dall’UE. 

Quello che è certo è che la sinistra svizzera sta beneficiando dello shock causato dai dazi, essendo tradizionalmente più favorevole all’UE. Anche attori che finora avevano evitato di prendere posizione, in particolare del mondo economico e dei partiti di centro, si esprimono adesso a favore di un legame più stretto con Bruxelles.

>> Le reazioni dei partiti svizzeri (Telegiornale RSI, 7 agosto 2025):

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Le iniziative europee in materia di sicurezza diventano più importanti 

L’avvicinamento all’UE avviene anche in un altro ambito: quello della politica di sicurezza. In primo luogo, ciò è legato alla Russia: la guerra d’aggressione contro l’Ucraina ha scalfito in modo duraturo, anche in Svizzera, la percezione di sicurezza. 

Secondariamente, la questione riguarda anche Donald Trump: il suo approccio imprevedibile in questa guerra genera insicurezza, soprattutto perché lui stesso ha sollevato dubbi sul fatto che gli Stati Uniti, in caso di conflitto, sosterrebbero i loro partner della NATO. 

Per questo motivo, negli ultimi anni sono state promosse diverse iniziative europee in materia di sicurezza, alle quali partecipa anche la Svizzera. Si possono menzionare, ad esempio, la sua adesione a vari progetti di ciberdifesa PescoCollegamento esterno, la cooperazione militare con l’UE oppure la partecipazione all’iniziativa European Sky ShieldCollegamento esterno. Attualmente si sta valutandoCollegamento esterno anche l’adesione al vasto piano di riarmo dell’UE ReArm Europe. 

Tra Governo, amministrazione e la maggior parte dei partiti esiste un consenso sul fatto che la Svizzera debba avvicinarsi militarmente all’UE, così come sta facendo con la NATO, nel rispetto della propria neutralità. I sondaggi mostrano che questo orientamento gode di un ampio sostegno da parte della popolazione. 

Ancora più che in ambito economico, nelle questioni di sicurezza valgono soprattutto la fiducia e l’affidabilità. Rispetto agli Stati Uniti, i partner europei appaiono come un baluardo di razionalità e stabilità. 

Il Governo svizzero ha già comunicato che continuerà a fare lobbying negli Stati Uniti per ottenere una riduzione dei dazi e che intende sostenere l’economia nazionale con misure mirate. Tuttavia, non ci si può aspettare una soluzione in tempi brevi. 

Nella conferenza stampa, la presidente della Confederazione Keller-Sutter ha riassunto così la posizione: “Vogliamo un accordo con gli Stati Uniti, ma non a qualsiasi costo.” 

Articolo a cura di Benjamin von Wyl 

Tradotto con il supporto dell’IA/lj 

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