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A Berna è nato l’Istituto di italiano giuridico

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L'insegnamento del diritto in lingua italiana rappresenta il ritorno a una pratica andata che l'Università di Berna ha perso circa un ventennio fa. Keystone / Christian Beutler

La lingua giuridica ha un suo lessico tecnico, diverso da quello usato nella vita di tutti i giorni. Questo centro di competenze non si vuole però rivolgere unicamente a giuriste e giuristi, ma a tutta la società. Ne abbiamo parlato con la direttrice Iole Fargnoli.

L’Università di Berna ha recentemente inaugurato l’Istituto di italiano giuridicoCollegamento esterno. Il progetto è nato dall’iniziativa di Iole Fargnoli, professoressa alla Facoltà bernese di diritto e direttrice del nuovo centro di competenze. Nonostante l’italiano sia una delle lingue ufficiali della Confederazione, il suo uso nelle istituzioni è marginale. E questo nonostante la Costituzione preveda il plurilinguismo e ne imponga la presenza.

Nell’ambito della formazione universitaria in particolare, chi si reca Oltralpe per studiare diritto si trova spesso in difficoltà di fronte a concetti che non ha la possibilità di imparare nella propria lingua. Cresciuta in una famiglia bilingue (italiano e tedesco), la professoressa Fargnoli si è formata all’Università statale di Milano.

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Pur essendosi da sempre confrontata con il fascino e con le difficoltà del bilinguismo, solo quando è arrivata a Berna per lavoro si è resa conto di quanto sia comunque difficile padroneggiare completamente due lingue a livello professionale e usarle come tessuto che unisca veramente gli individui. In particolare nel mondo del diritto, al giurista e alla giurista che lavorano con le parole è necessaria la piena padronanza della lingua in cui si esprimono.

tvsvizzera.it: Quali lacune colma la creazione di un Istituto di italiano giuridico?

Iole Fargnoli: Introduce un centro di competenza con una pluralità di compiti: quello della didattica, quindi corsi di italiano giuridico, di lessico giuridico o di introduzione alla scienza giuridica. Ma assume anche altri compiti come quello della ricerca e del dialogo con la politica.

Iole Fargnoli.
La professoressa Iole Fargnoli lavora all’Università di Berna dal 2007. Daniel Rihs

La didattica, quindi, non è l’unico obiettivo ma è importante perché rappresenta il ritorno a una pratica che si stava perdendo. Dall’entrata in vigore del Codice civile svizzero nel 1912 e fino a una ventina di anni fa, ossia fino al pensionamento nel 2003 di Pio Caroni (professore emerito di Storia del diritto medioevale e moderno all’Università di Berna e già rettore dell’Università, ndr.) era infatti la regola che ci fossero corsi di diritto tenuti in italiano. Facevano parte dell’offerta didattica, coerentemente con il ruolo di Berna quale capitale federale. Poi con il pensionamento di Caroni sono stati tutti cancellati.

Ora, l’Istituto di italiano giuridico vuole valorizzare la lingua italiana del diritto, mettendo a disposizione all’Università di Berna una vetrina verso l’esterno. Anche perché, sul piano formale, la Costituzione prevede che la lingua italiana del diritto sia una lingua ufficiale della Confederazione, allo stesso livello del tedesco e del francese. Nell’ambito del processo legislativo, per esempio, vengono prodotte tre versioni delle norme, non si tratta di una la traduzione dei termini da un idioma all’altro, ma di versioni ufficiali di norme. Lo stesso accade per atti amministrativi, testi applicativi e regolamenti, e in generale per gli atti delle autorità federali.

Cosa intende con “una vetrina verso l’esterno”?

È una vetrina, nel senso che, un corso di diritto che si tiene in lingua italiana all’Università di Berna, Basilea o Zurigo, non è necessariamente visibile all’esterno: non tutti sanno che questa offerta c’è e l’offerta può variare di anno in anno in base alla disponibilità dei professori o al numero di iscritti.

Mentre nel momento in cui c’è un Istituto, che è un centro di competenza per la didattica e per la ricerca, allora la sua presenza e la sua offerta vengono meglio comunicate all’esterno. È come dare un’attenzione alle studentesse e agli studenti italofoni, e più in generale al ruolo della lingua italiana quale lingua ufficiale della Confederazione.

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Si intende rendere così anche più equo il percorso di studenti e studentesse italofoni, penalizzati in una materia in cui la dialettica è importante?

Prima di arrivare a Berna nel 2007 non mi ero mai resa conto delle difficoltà che incontra chi usa il linguaggio giuridico, che è tecnico, in una lingua diversa dalla propria madre lingua. La prima cosa che sono riuscita a proporre alla Facoltà e quindi a fare introdurre già dal 2008 è stata un’aggiunta di tempo per le studentesse e gli studenti non madrelingua – almeno un ulteriore mezz’ora a disposizione – in ognuna delle prove d’esame.

Per chi si appresta a studiare il diritto è uno svantaggio incredibile non farlo nella propria lingua madre. Esprimersi nelle sottigliezze della lingua nell’ambito di un esame o di un seminario in lingua tedesca può rappresentare una difficoltà anche per chi la parla dalla nascita, figuriamoci per chi, per quanto bene, usa il tedesco come seconda lingua.

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Quindi sì, l’Istituto di italiano giuridico è pensato anche per chi, una volta laureata o laureato, tornerà poi a lavorare nella Svizzera italiana. La lingua giuridica ha un suo lessico particolare, diverso da quello usato nella società comune. Il corso vuole favorire il dominio del lessico giuridico in italiano in maniera che, durante gli studi, non si venga a conoscenza solo della terminologia in tedesco.

Grazie al programma BeNeFriCollegamento esterno, ossia una collaborazione stretta tra le Università di Berna, Neuchâtel e Friburgo, anche chi è iscritto a questi altri due atenei può usufruire dell’offerta dell’Istituto di italiano giuridico.

Quali ambiti lavorativi ne potranno beneficiare e come?

I giuristi innanzitutto. Però la valorizzazione della lingua italiana vuole consolidare l’uso dell’italiano – e dell’italiano istituzionale – in tutta la società civile. L’obiettivo ultimo è quello di colmare il vuoto tra l’ufficialità dell’italiano sulla carta e lo scarso peso che gli viene dato nei fatti a livello nazionale.

E il fatto che ci sia un’apertura a tutta la società civile è dimostrato dalle collaborazioni che questo istituto tesse, che non sono soltanto con organi o istituti giuridici. Ma anche con chi opera in ambito culturale e linguistico, come l’Osservatorio linguistico della Svizzera italiana, l’Istituto di italianistica di Basilea, il sito di ricerca sull’italiano istituzionale in Svizzera o l’Istituto italiano di informatica giuridica.

C’è anche una collaborazione con il Walter Benjamin Kolleg, che è un centro di competenza interdisciplinare dell’Università di Berna e, appunto, si occupa di discipline diverse dal diritto.

Quindi, anche se il primo obiettivo si colloca nel settore giuridico, l’idea è di favorire l’interdisciplinarietà e quindi un’apertura, non soltanto alla lingua del diritto, ma più in generale alla lingua italiana.

All’inaugurazione dell’istituto erano presenti diverse personalità italiane. Perché tutto questo interesse?

L’Istituto è rivolto innanzitutto alla Svizzera e infatti c’erano rappresentanti del Consiglio degli Stati, del Consiglio di Stato del Canton Ticino e dell’Istituto di diritto dell’Università della Svizzera italiana.

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C’erano anche personalità italiane che hanno un diretto contatto e un dialogo con la Svizzera, come la professoressa Francesca Ruggeri dell’Università degli studi dell’Insubria, dove ha sede il Centro di ricerca di diritto svizzero.

Per l’Italia, poi, la valorizzazione della lingua italiana è sempre una questione importante e per questo motivo erano presenti l’ambasciatore italiano in Svizzera, Gian Lorenzo Cornaro, e un componente del direttivo dell’Accademia della Crusca, Federico Bambi.

Si è voluto dare voce anche all’italiano come lingua scientifica nel mondo. L’italiano è infatti la lingua internazionale del diritto romano, perché chi lo vuole studiare non può prescindere dalla conoscenza dell’italiano. La maggior parte della letteratura sul diritto romano sono scritti in italiano e l’interesse dell’Italia al nuovo istituto si giustifica anche per questo ulteriore contributo che può essere dato, anche dalla Svizzera, alla lingua italiana come lingua scientifica.

RicercheCollegamento esterno svolte all’Università di Basilea hanno concluso che l’italiano istituzionale sia più chiaro in Svizzera che in Italia. Possiamo in un certo senso individuare nella nascita di questo istituto un ulteriore contributo all’italiano istituzionale?

La Svizzera ha una particolare attenzione all’accessibilità del linguaggio istituzionale e giuridico, già dai tempi di Eugen HuberCollegamento esterno, che notoriamente ha cercato di rendere il Codice civile accessibile a un pubblico più ampio possibile. Anche per questo, il Codice civile svizzero è diventato un modello, non solo a livello europeo, ma anche in tutto il mondo.

D’altronde, una delle forze del plurilinguismo elvetico, anche al di fuori del diritto, è proprio quella di sapersi far comprendere e, allo stesso tempo, avere comprensione per chi non parla lo stesso idioma. E uno degli obiettivi che l’Istituto si prefigge, come laboratorio di idee, è di studiare e riflettere sull’accessibilità alla lingua. Lavorare sulla semplificazione del linguaggio mantenendo un lessico corretto, non banale, è una grande sfida.  

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