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Una grande stagnazione, una politica monetaria timida

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di Tommaso Monacelli (LaVoce.info)

Una frase di Draghi colpisce nella conferenza stampa con cui annuncia nuove misure di espansione monetaria: “Stiamo facendo di più proprio perché ciò che abbiamo fatto in passato sembra funzionare”. Logicamente, se qualcosa funziona, perché fare di più? Non è invece forse vero il contrario: la Bce ritiene di dover fare di più proprio perché le cose in realtà non stanno funzionando?

Sono tre i nuovi interventi della Bce. Misure timide, probabilmente insufficienti a invertire la rotta dell’economia dell’eurozona. Possiamo paragonarle ad un incremento della dose di anti-infiammatori a un paziente affetto da polmonite.

La prima misura è una estensione temporale del programma di Quantitative easing (Qe) fino a Marzo 2017. Una estensione del Qe di alcuni mesi ha effetti praticamente nulli, simili a quelli che si hanno in matematica dall’aggiungere a infinito un numero positivo. Settembre 2016 (la precedente data di scadenza) e Marzo 2017 sono, nelle aspettative degli operatori, date praticamente equivalenti: cioè entrambe già sufficientemente in là nel tempo. Il problema fondamentale è che il Qe è efficace solo in una direzione: ridurre i tassi di interesse a lungo termine. Il Qe europeo è iniziato quando i tassi a lungo termine erano già abbondantemente scesi, soprattutto nel Nord Europa. (A che serve, ad esempio, continuare ad includere Bund tedeschi negli acquisti?) In secondo luogo, un’economia in persistente stagnazione è tipicamente molto poco sensibile ai tassi di interesse. Questo perché molti agenti fronteggiano vincoli di accesso al credito (che differenza fa se i tassi sono al 2 o 3 per cento, quando il credito non mi viene concesso?); e inoltre sono oberati dal debito (quindi indifferenti ad una riduzione ulteriore del costo di accesso a nuovo debito). In generale, i tassi di interesse reali sono bassi nel mondo, inclusa la zona euro, perché le prospettiva di crescita sono opache. Insistere con dosi ulteriori di Qe vuol dire affrontare il sintomo, non la causa del problema.

La seconda misura è un impegno a reinvestire i rendimenti ottenuti sugli asset acquistati nel programma, invece di restituire gli interessi a ciascuna banca centrale nazionale. Questa misura è equivalente ad un moderato aumento della quantità di bond acquistati per ciascun mese, quindi a sua volta di efficacia limitata.

La terza misura è un incremento della tassa che le banche pagano per detenere riserve presso la Bce stessa (si tratta a tutti gli effetti di una tassa perché le banche già prima di oggi ricevevano una remunerazione negativa sulle riserve, e da oggi questa remunerazione sarà ancora più negativa). Ciò rende più costoso per le banche tenere risorse parcheggiate sotto il “materasso della Bce” e dovrebbe spingerle a impiegare queste risorse in prestiti alle imprese. Continue variazioni al ribasso del tasso sulle riserve bancarie produrranno in realtà un effetto neutrale fino a quando non si sarà raggiunto il livello critico di indifferenza tra due opzioni: tenere denaro parcheggiato presso la Bce oppure metterlo in sicurezza. Il costo di conservare denaro in sicurezza consiste, per le banche, nel costo di stipulare polizze private di assicurazione contro il rischio di furto. Ma una volta raggiunto il punto di indifferenza, ulteriori ribassi dei tassi sulle riserve renderanno conveniente per le banche semplicemente utilizzare altri strumenti di parcheggio della liquidità. Il margine rilevante, per le banche, è in realtà quello tra costo di parcheggio della liquidità (in qualunque forma, presso la Bce o altro) e remunerazione (rischiosa) di impiego delle risorse in prestiti. Fino a quando l’economia continuerà a languire in questo modo, e fino a quando gli attivi di bilancio delle banche nella zona euro saranno appesantiti di prestiti non esigibili, le risorse rimarranno largamente inutilizzate.

La realtà è che la zona Euro rimane in una fase di persistente (e preoccupante) stagnazione. Perché? Immaginate di salire lungo una scala mobile. La velocità di ascesa della scala mobile è il “trend” di crescita dell’economia. Sulla scala che sale in automatico, potete decidere di muovere passi in avanti (un boom ciclico), all’indietro (recessione) o di stare fermi (stagnazione). Dopo il 2008 è come se, sulla scala mobile su cui si trovava, l’economia della zona euro avesse cominciato a muovere così tanti passi all’indietro che è stata costretta a “cambiare scala mobile”, cioè a saltare su una scala più lenta. Un’economia è soggetta a stagnazione persistente quando una recessione ciclica, di solito temporanea, si rivela invece così profonda (i passi all’indietro) da produrre anche effetti sul trend potenziale di crescita (il cambio di scala mobile).

Questo problema fronteggia la Bce come un macigno. La conseguenza è un tasso di disoccupazione persistente, in termini sia di media, che di dispersione tra paesi. Insistere sul raggiungimento dell’obiettivo di inflazione ignorando questo gigantesco problema appare oramai come un limite troppo stringente della architettura di politica monetaria della Bce.

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