Un’altra Cogne, e di nuovo “pietà l’è morta”
di Aldo Sofia
E fu subito Cogne. Un’altra Cogne. Solo che adesso Cogne si chiama Santa Croce Camerina. Gli impresari della tv del dolore hanno i riflessi pronti. In poche ore, il peggio del circo mediatico si è trasferito armi e bagagli (soprattutto armi) nella cittadina in provincia di Ragusa.
Un nuovo set. Su cui “l’infotainment” – l’ibrida commistione fra informazione e intrattenimento, fra notizia e spettacolo – si applica nella puntigliosa, accanita, compulsiva narrazione dell’ultima tragedia nazionale: Loris, il bambino di 8 anni strangolato e gettato nel fossato fra i canneti; e Veronica, una madre prigioniera delle sue contraddizioni e accusata del peggiore dei crimini.
Lo chiamano diritto di cronaca. Diritto intangibile, certo. Ma non quando impietosamente esonda, si sviluppa in tanti fetidi rivoli, si esercita nel peggiore voyeurismo, vìola il diritto alla privacy, e naturalmente fa strame della presunzione di innocenza. Allora il sacrosanto diritto di cronaca diventa semplicemente un alibi.
Riecco quindi i plastici in studio, gli affannosi collegamenti per non dire nulla, i pensosi ospiti che usano il “condizionale affermativo” (il classico “se fosse vero che…”, premessa a cui fanno puntualmente seguito convinzioni che suonano invece come una certezza o come inappellabile sentenza).
E’ un tipo di narrazione che non può interrompersi, non può concedersi pause, è uno scorrere di parole e immagini ripetitive ma continuo. Lo “show must go on”. Le cinque o sei foto di Loris, sempre le stesse, che tornano ossessivamente (a che servono?); il filmato, sempre lo stesso, con la madre Veronica portata via, con l’agente di polizia che ha un fugace gesto di compassione (a che serve?); le testimonianze, quasi sempre le stesse, che parlano della sua fragilità psichica, delle sue patenti bugie, del suo tormentato passato, ma praticamente mai della sua tragedia personale, del dolore che deve pur stravolgere anche una madre sospettata/accusata di infanticidio.
Si dice anche che la trash tv tutti la criticano, ma molti la guardano. In questo caso la guarderanno per mesi, forse per anni, stregati da una gara che deve strabiliare e scandalizzare, emozionare e interrogare. Perché? “Perché serve come gigantesco alibi sociale per non guardarsi dentro”, suggerisce Michele Serra. O perché, come teorizza il docente di psicologia clinica Alberto Angelini, siamo al “fenomeno della sterilizzazione emotiva, per cui a lungo andare l’ostentazione sullo schermo finisce per banalizzare il dramma.
Cogne a Avetrana, Brambate e Santa Croce Camerina. Quindi Samuele e Sara, Yara e Loris. Due volte vittime. Uccisi dai loro carnefici. Ma in qualche modo anche dai registi e dai corifei dell’informazione guardona. E che importa se…”pietà l’è morta”.
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