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Tsipras, la battaglia più difficile comincia adesso

Limes

di Dario Fabbri (Limes)

Che differenza possono fare nove mesi. Eletto primo ministro con la promessa di ottenere un imponente sconto sul debito, domenica scorsa Alexis Tsipras ha trionfato alle elezioni anticipate difendendo i severi termini imposti ad Atene dai creditori per la concessione dell’ultimo bailout.

Ormai consapevole della volontà dei greci di rimanere nell’euro, il primo ministro ha nuovamente invitato alle urne i concittadini per eliminare i dissidenti di Syriza e, mostrandosi più responsabile dei suoi ex colleghi, persuadere Bruxelles a concedere sostanziali concessioni in materia di riforme e austerity. Tuttavia, se il primo obiettivo è stato raggiunto, il secondo appare assai difficile da centrare.

Non potendo imperniare la campagna elettorale sui temi che a gennaio ne decretarono la vittoria – dai danni provocati dalla crisi economica, all’autismo dei creditori, fino alla promessa di una Europa più equa – nelle ultime settimane Tsipras ha saputo magistralmente condurre il dibattito sulle responsabilità della precedente classe dirigente e sulla lotta alla corruzione.

In sintesi il premier s’è offerto agli elettori come un leader genuino che, privo di margine di manovra a causa degli errori dei suoi predecessori, non ha potuto far altro che accettare la volontà di Bruxelles. Analogamente ha saputo presentare i provvedimenti imposti al suo governo come un’occasione utile per combattere i privilegi e rivoluzionare il mercato del lavoro.

Desiderosi di restare in Europa nonostante i sacrifici da sostenere, i greci hanno palesemente premiato la strategia di Syriza e penalizzato il partito della Nuova Democrazia che, previsto dai sondaggi come in lotta per il primato, ha finito per perdere addirittura un seggio (da 76 a 75). Mentre i fuoriusciti di Syriza, riuniti nel movimento di Unità popolare e additati dal loro ex capo quali narcisi irresponsabili, non sono riusciti neanche a superare il 3% necessario per accedere al parlamento.

Ne deriva che in questa legislatura Syriza potrà contare su 145 seggi su 300 totali, ai quali si aggiungono i 10 della destra nazionalista dei Greci Indipendenti con cui ha intenzione di governare.

Definitivamente sconfitti gli “estremisti” del suo partito, come già accaduto nelle ore più calde del negoziato quando fu chiesto all’ex ministro Yanis Varoufakis di farsi da parte, ora Tsipras prova ad ottenere maggiore flessibilità da parte delle autorità comunitarie in materia di riforme e pagamento del debito. Entro la fine di ottobre Atene deve rivedere il bilancio per il 2015 e preparare quello per il prossimo anno, mentre per incassare le rate del bailout deve applicare nuove tasse al settore agricolo e turistico e proseguire nella privatizzazione delle aziende statali.

Vista la difficoltà di realizzare tutte le misure prescritte nei tempi richiesti, Tsipras prova ad accreditarsi nei confronti di Bruxelles quale statista maturo che merita fiducia, ma l’impresa si preannuncia alquanto difficile. Per ragioni anzitutto culturali e politiche. Soddisfatti della rinnovata malleabilità del premier greco e obbligati a scongiurare una nuova crisi in una fase dominata dall’emergenza dei migranti, i creditori – ovvero la Germania con i suoi satelliti scandinavi e mitteleuropei – almeno inizialmente concederanno maggiore tempo ad Atene.

La pazienza però potrebbe esaurirsi molto presto. Berlino e i suoi accoliti, applicando un approccio smaccatamente antropologico agli affari continentali, considerano le difficoltà dell’eurozona esclusivamente dovute all’endemica dissolutezza delle cicale mediterranee e non anche alle asimmetrie causate dal surplus commerciale tedesco.

Sicché in attesa di una presa di coscienza da parte della Germania che conduca ad un reale allentamento delle maglie dell’austerity con il proposito di garantire un futuro di crescita alla periferia continentale, Atene potrà soltanto guadagnare mesi. Prima di rischiare nuovamente il default. E poco importa se Tsipras si mostra più o meno ragionevole.

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