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Trilussa e il Marino assediato

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Di Aldo Sofia

Nella poesia di Trilussa, al lupo che l’invita a raggiungerlo dalla parte del fiume dove l’acqua è limpida e pulita, l’ “Agnello infurbito” risponde: “accetterò l’invito quando io avrò sete e tu non avrai fame”. Traslata nella Roma di oggi, c’è ancora da capire se l’ “agnello sacrificale”, nello specifico il sindaco Ignazio Marino, si farà divorare dal “lupo famelico”, il premier-segretario Matteo Renzi. Ma, soprattutto, quanta voglia, quale interesse e quante possibilità abbia davvero il secondo di fare un boccone del primo.

Non è perché è di madre svizzera (e padre siciliano) che oggi ci permettiamo di spezzare una lancia (non esageriamo: una freccia, una freccetta, uno spillo…) in favore dell’ex chirurgo, con studi americani, datosi alla politica. E bisogna pur ammettere che gaffe e passi falsi del primo cittadino della città eterna non mancano. Un romanesco (per lui, di origine piemontese) forzato e che sfiora il ridicolo, l’incidente della sua Panda rossa per giorni in sosta vietata, fino a quell’ultima sortita (“la destra torni nelle fogne da cui è venuta”) che rievoca slogan da anni di piombo. Se la poteva risparmiare. Così come i suoi tentennamenti e i ritardi hanno alimentato le battutacce e l’ironia pesante che in Ciociaria abbonda. Così il suo nome Ignazio viene storpiato in “Ignavo” o “Ignaro”.

Nessuno dubita della sua onestà personale, e certo non è poco nella melma di “Mafia capitale” (scandalo by-partisan). Ma sembra non bastare. Ormai gli si rimprovera di tutto: non ha visto, non ha bonificato la parte marcia della sua amministrazione, non ha denunciato i papponi del PD capitolino, non ha capito che chiudere al traffico il viale dei Fori imperiali e la centralissima Via del Babuino avrebbe fatto imbufalire migliaia di automobilisti. E, naturalmente, non ha provveduto a coprire le buche-killer che ormai sono il principale rischio letale per pedoni e scooteristi romani.

Per la verità, appena messo piede in Campidoglio chiese alla magistratura di indagare su amministrazione e appalti sospetti; le storiacce del PD non sono affare del sindaco ma della segreteria nazionale; pochi ricordano la clamorosa parentopoli e il clientelismo sfacciato del suo predecessore Gianni Alemanno (ora indagato per Mafia capitale); metter mano alla salvaguardia del patrimonio artistico e al caos viario é di certo cosa benemerita; e le buche sono lì da tempo immemorabile.

Ma tant’è. Lupo-Renzi gli chiede di farsi sbranare. Attraverso l’auto-rottamazione (leggi dimissioni). In nome del bene del partito. Ma forse stavolta ha trovato pane per i suoi dentini aguzzi. Marino non molla, dice di voler resistere anche alle cannonate, si rifugia nel bunker, e qualche appoggio l’ha trovato persino nelle pieghe renziane del centro-sinistra: dove – dopo il recente schiaffo elettorale nel voto regionale e comunale, che ha sancito la “battibilità” del premier – si è meno disposti a inghiottire tutti i rospi di quel “maleducato di talento” (come lo ha definito l’ex direttore del Corrierone, de Bortoli).

C’è comunque da capire quanto il lupacchiotto voglia davvero la pelle di questo agnello. Lo dicono tutti i sondaggi: oggi, un vuoto politico in Campidoglio ed eventuali elezioni anticipate costituirebbero una formidabile catapulta per la conquista della capitale da parte dei Cinque Stelle. Due anni fa il PD aveva scelto Ignazio Marino anche per sbarrare la strada a Grillo. E se un Marino rottamato la riaprisse?

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