Perché le relazioni Usa-Russia miglioreranno prima di peggiorare
di Dario Fabbri (Limes)
Stati Uniti e Russia si preparano ad uno scontro di lungo periodo, con straordinarie ripercussioni sul futuro della Nato e dell’Europa. Nei prossimi mesi la contesa è destinata a raffreddarsi – nonostante le dichiarazioni bellicose e le manovre militari di queste settimane – specie perché Stati Uniti e Germania proveranno ad impedire il definitivo sfaldarsi dell’Unione Europea. Per poi riaccendersi in futuro, indipendentemente da chi sarà il prossimo presidente americano. Per ineludibili ragioni geopolitiche, le stesse che hanno provocato la guerra fredda.
In questa fase Stati Uniti (parzialmente attraverso la Nato) e Russia sono impegnati in rilevanti manovre militari. Lo scorso maggio, nella base rumena di Deveselu, è entrato in funzione il sistema di difesa Aegis Ashore, pensato per proteggere l’Europa sud-orientale da attacchi russi e che nel 2018 dovrebbe arricchirsi a Redzikowo, in Polonia, di un secondo segmento. Inoltre il Pentagono intende inviare per sei mesi (a rotazione) un battaglione nei paesi baltici e uno in Polonia. Decisioni che probabilmente saranno comunicate a luglio nel summit Nato di Varsavia. Così il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu ha annunciato a maggio la formazione di tre nuove divisioni (ognuna composta da circa 10mila uomini), due da collocare nel distretto militare occidentale e una in quello meridionale. Mentre la 28esima brigata di stanza a Ekaterinburg sarà trasferita a Klintsy, a circa 45 chilometri dal confine ucraino, e la 23esima presente a Samara si sposterà nell’Oblast di Belgorod, a meno di 20 chilometri dall’Ucraina.
Sviluppi che apparentemente lascerebbero presagire un’escalation immediata. Con tanto di truppe e mezzi schierati lungo i rispettivi confini. In realtà si tratta di schermaglie tese soprattutto a corroborare il margine negoziale dei principali interlocutori. Anzi, in questa fase è obiettivo comune stemperare i toni. Preoccupati dalla possibile uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, dalla perdurante crisi della periferia meridionale del continente e dalle difficoltà incontrate dal Ttip, gli Stati Uniti preferiscono mostrarsi concilianti per non costringere la Germania a muoversi tra due fuochi, ovvero tra la volontà di appeasement dei paesi dell’Europa occidentale e l’aggressività degli Stati ex comunisti (Polonia e Romania in testa). Una faglia che se ulteriormente ampliata rischia di disarticolare lo spazio comunitario, che Washington riesce a gestire soltanto se formalmente unito.
Dal canto suo Berlino vorrebbe tornare all’ordinaria amministrazione, annullando le sanzioni ai danni della Russia e scongiurando la presenza permanente di truppe statunitensi negli ex satelliti sovietici. Nel (disperato) tentativo di concentrarsi sulle altre numerose, esiziali crisi europee (dai migranti alla tenuta delle banche). Stesso proposito della Russia che, fortemente danneggiata dal ribasso nel prezzo del petrolio, vorrebbe nuovamente accogliere gli investimenti occidentali e sospendere la dispendiosa corsa agli armamenti avviata con la superpotenza.
Sicché a breve termine il confronto pare destinato a sospendersi. L’Ucraina resterà politicamente in campo occidentale e militarmente neutrale. Mentre la cooperazione in atto in Siria tra Washington e Mosca faciliterà il dialogo. Tuttavia non scompariranno le ragioni che impongono agli Stati Uniti di contenere e soffocare la Russia. Né la necessità di Mosca di espandersi verso Occidente e di controllare il suo estero vicino. Dinamiche su cui, a differenza di quanto sperato da Putin, non potrebbe incidere neppure l’isolazionista Trump e che negli anni a venire prolungheranno la nuova “guerra fredda”.
Non a caso le parti stanno gettando le basi per un conflitto prolungato. Che tenderà a peggiorare drammaticamente dopo l’iniziale miglioramento. E che potrebbe provocare il definitivo implodere della Germania e dell’Unione Europea.
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