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La vera emergenza? Il “crac” demografico

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di Aldo Sofia

C’è la politica degli annunci, che rimangono tali. E c’è la politica dell’allarme, che si esercita in occasioni delle emergenze e lì si ferma, in attesa del prossimo capitolo. Esempi? L’alluvione che rilancia l’urgenza di metter mano alla sistemazione del territorio; il sima, che evoca la necessità di mettere in sicurezza almeno il parco abitativo delle regioni a maggior rischio terremoto; oppure il crollo del tetto di una scuola, che ricorda come una parte sostanziosa degli istituti scolastici della Penisola avrebbe assoluto bisogno di consolidamento. L’allarme, e poi il nulla.

Adesso ci riprova il ministro della salute Beatrice Lorenzin. Che rilancia l’SOS demografico. Già qualche mese fa, una statistica allarmante: per la prima volta dal termine della prima guerra mondiale (quindi da un secolo a questa parte) in Italia ci sono stati più decessi che nascite, e nemmeno le culle degli stranieri sono servite a garantire un equilibrio che si sta sfaldando.

Ammonisce ora la ministra: “Se andiamo avanti con questo trend, senza riuscire ad invertirlo, tra un decennio, cioè nel 2026, nel nostro paese nasceranno meno di 350 mila bambini all’anno: significa il 40 per cento in meno rispetto al 2010. Un’apocalisse, perché saremmo finiti dal punto di vista economico, e da quello della nostra capacità vitale. Ecco la vera emergenza italiana”. Le cifre sono crudeli. In meno di un lustro, il Bel Paese ha perso quasi settantamila nascite. Aggiungiamoci l’aumento esponenziale di pensionati ed anziani, “ed abbiamo il quadro di un paese moribondo”.

Esagerazioni? Non è quanto pensano gli specialisti. Da poco apparso in libreria, lo studio di Stefano Allievi e Gianpiero della Zuanna (“Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione”. Laterza) riporta dati tratti da analisi ufficiali ONU, che lasciano pochi dubbi. E cifre impressionanti. Tra le altre, questa: “Nei prossimi vent’anni, per mantenere costante la popolazione in età lavorativa (20-60) ogni anno dovranno entrare in Italia, a saldo, 325 mila potenziali lavoratoirj, un numero vicino a quelli effettivamente entrati nel ventennio precedente. Altrimenti i potenziali lavoratori caleranno da 36 a 29 milioni”.

Obiezione prevedibile: ma in Italia ci sono molti disoccupati, si può aumentare il tasso di occupazione femminile, bisogna incentivare il lavoro dei giovani e degli ultracinquantenni. Ma anche se si potesse fare tutto questo, e senza abbassare ulteriormente i salari degli italiani (ma è possibile, è auspicabile?), lo scenario dell’immigrazione necessaria non cambia di molto, con il Pil garantito per almeno sei punti all’anno dai lavoratori stranieri, con gli anziani che devono essere accuditi, con l’assistenza sanitaria che aumenta, e con la necessità di rimpolpare le casse pensionistiche (già oggi sono 600 mila gli italiani che percepiscono la pensione grazie ai contributi versati dagli stranieri).

Insomma, si alzano muri e si stende filo spinato. Che il cittadino si inquieti di fronte alla grande ondata migratoria è comprensibile. Meno comprensibile che la politica non spieghi per interesse elettorale, che non sappia, che non vari strategie e aiuti per le famiglie, e che trascuri le conseguenze (a breve) del “crac” demografico. Un dato conclusivo? Se si realizzasse il sogno di alcuni e i paesi ricchi bilanciassero le loro frontiere – assicurano Allievi e Dalla Zuanna – nel 2036 i lavoratori passerebbero da 753 a 664 milioni; quasi 90 milioni in meno; come dire la popolazione in età lavorativa di Italia e Germania messe insieme.

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