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La lezione di Goffredo Fofi e il potere delle minoranze

Goffredo Fofi a Torino nel 2022.
Goffredo Fofi a Torino nel 2022. IMAGO/Bridgeman Images

Nicola Villa ricorda il grande intellettuale scomparso recentemente a 88 anni. Ha lasciato un’impronta indelebile sulla cultura italiana, soprattutto grazie alle molte riviste che ha fondato.

Goffredo Fofi, figura di spicco del panorama culturale italiano, è morto l’11 luglio di quest’anno all’Ospedale Cavalieri di Malta di Roma. Facile dire che sia stato un intellettuale «contro», ma nel suo caso non era un modo di dire. Fofi ha animato il dibattito culturale in Italia dagli anni ‘60 ad oggi, con opinioni sempre affilate. Una generazione di giornalisti culturali italiani si è formata sulle pagine delle numerose riviste che ha fondato e diretto.

Il percorso di Fofi inizia precocemente: a soli 18 anni si trasferisce a Palermo per collaborare con Danilo Dolci nelle sue battaglie contro la disoccupazione e la mafia. A 23 anni, dopo un’esperienza a Parigi, rientra in Italia e fonda i Quaderni piacentini, una delle riviste più influenti del Novecento italiano. Seguiranno altre importanti pubblicazioni come La terra vista dalla lunaOmbre rosseLinea d’ombraLo straniero e infine Gli asini.

La puntata del programma radiofonico Alphaville dell’11 luglio 2025:

“Addio_a_Goffredo_Fofi”.

Nicola Villa, vicedirettore de Gli asini e stretto collaboratore di Goffredo Fofi negli ultimi vent’anni, lo ricorda con emozione ad Alphaville: “Sono anche emozionato, ovviamente, perché non ci posso ancora credere, anche perché l’ho visto da poco. Abbiamo parlato di tanti progetti, con Goffredo… non si lamentava mai della sua vecchiaia, dei suoi acciacchi, e pensava sempre a rilanciare”.
Villa, che ha lavorato con Fofi dal 2005, sottolinea il ruolo di maestro che l’intellettuale ha avuto per molti giovani: “Per noi giovani che ci avvicinavamo a lui, era un mito, uno che aveva conosciuto gli scrittori che amavamo… Elsa Morante, e tante, tante altre figure. Però l’ho sempre visto anche come un compagno, un compagno di strada. Uno da cui c’era tanto da imparare, ma che ti trattava da pari a pari”.

Villa descrive la casa di Goffredo Fofi come un luogo unico: “Andare a casa sua, una casa piena di libri, una casa piena di storie e di foto, faceva capire subito che lui rappresentava un modo diverso di vivere”. Villa ricorda una battuta ricorrente di Fofi: “Diceva ‘io sono l’unico italiano che conosco’: in pratica, si stupiva del fatto che noi italiani fossimo così poco curiosi del nostro Paese”.

Secondo Villa, il metodo di Fofi “è stato sempre un metodo di creare reti, avere fiducia, fidarsi delle persone”. E oltre all’Italia, aveva una vasta esperienza internazionale, avendo conosciuto Parigi nel ‘68 e viaggiato molto, ad esempio, in Messico.

Una delle convinzioni più profonde di Fofi, ricorda Villa, riguardava il potere delle minoranze: “Questo era un po’ un suo cruccio, il fatto che se ci pensiamo, le cose importanti nelle fasi importanti della nostra storia italiana sono sempre state le minoranze che hanno avuto la capacità di trasformare ed inventare. La Resistenza è stata fatta da poche decine di migliaia di persone, l’Italia è stata fatta da 1000 persone… Il suo cruccio è sempre stato quello di pensare a come fare la rivoluzione”.

Villa aggiunge: “Questo era un po’ un suo slogan, ma ci credeva molto e noi ci crediamo. Crediamo che nelle minoranze, nei piccoli gruppi e nella capacità di collegamento, si trovino le cose più vive e interessanti, sia culturalmente che politicamente”.

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