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Italia sott’acqua, solita emergenza soliti appelli

Keystone

di Aldo Sofia

Ci arrivai in una livida mattina di ottobre. La strada sulla costa ionica percorsa come un tracciato di guerra tra mucchi di fango e detriti, una palazzina letteralmente sventrata da una ‘bomba d’acqua’ perché costruita dove non doveva essere edificata, la salita a piedi verso il paese di Giampilieri inondato e come bombardato da un’incursione aerea, e ancora più su le colline senza colture né vegetazione e diventati così scorrevole scivolo per una melma in alcuni punti alta anche due metri. Era il 2009, ed é il mio ricordo del primo impatto visivo con quella che oggi si ricorda come l’alluvione di Messina. I morti furono 35. Vite portate via di notte, in poche, terribili ore.

Adesso che in Italia, come puntualmente avviene ad ogni alluvione, si torna a parlare di prevedibile emergenza in un paese fragile che è il più franoso d’Europa, leggo l’ennesima impressionante statistica: secondo l’ultimo rapporto dell’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, la popolazione esposta a questi fenomeni franosi sfiora il milione. Per l’esattezza, 987 mila abitanti. Salvatore Settis, lo studioso di fama mondiale che in un recente libro ha denunciato l’ossessiva cementificazione del Bel Paese (al ritmo di 8 metri quadrati al secondo di terra che viene rimpiazzata dal catrame) ha ricordato quanto il presidente della Repubblica, Napolitano, aveva proclamato dopo l’alluvione , le distruzioni e i morti del 2011 nelle Cinque Terre: “Bisogna affrontare il grande problema nazionale della tutela e delle messa in sicurezza del territorio, passando dall’emergenza alla prevenzione”. Parole – denuncia lo studioso – alle quali non é seguito nulla di concreto. In attesa di un’altra emergenza, e di altre analoghe invocazioni.

Non importa chi sia al governo a Roma, lo spartito é sempre lo stesso. Prima l’indignazione, poi le promesse, infine il quasi nulla di fatto. Prevenzione significa molte cose, ma soprattutto la lotta all’abusivismo edilizio, lo stop ai permessi di costruzione troppo facilmente concessi da molti Comuni pur di far cassa, la pulizia dei corsi d’acqua e il consolidamento degli argini, la manutenzione ordinaria del territorio in alta collina e in montagna. C’è la mancanza di tutto questo all’origine del disastro idrogeologico che regolarmente si abbatte lungo la Penisola. Ancora Salvatore Settis: “I costi della mancata manutenzione del territorio sono stati valutati in tre miliardi e mezzo di euro all’anno, senza contare le perdite di vite umane”.

Nel 2008, il Ministero dell’Ambiente aveva valutato in 40 miliardi di euro i fondi necessari per mettere in sicurezza paesi e città. Cifra inimmaginabile anche per Paesi meglio messi con le casse pubbliche. Ma negli ultimi 14 anni sono stati spesi soltanto 4,25 miliardi. Fa una media di 300 milioni all’anno. Troppo poco, ammoniscono tutti gli specialisti, se si pensa che ci sono quasi 13.000 km quadrati di suolo a criticità idrica. E per il 2014 il governo Letta prevede investimenti per appena 30 milioni. Intanto un altro spettro avanza. Non bastassero ritardi e insensibilità, scarse risorse e speculazione, i cambiamenti climatici potrebbero aggravare la già salatissima fattura: gli eventi atmosferici gravi sono sempre più intensi e sempre più ravvicinati.

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