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Grillo conquista Roma, Renzi e Berlusconi quasi all’angolo

Se dovesse vincere il ballottaggio Virginia Raggi sarebbe il primo sindaco donna di Roma ansa

Aveva dunque ragione la "pentastellata" romana Paola Taverna, quando denunciò "un complotto per farci vincere a Roma". Sembrava solo un'infelice, paradossale battuta. Lo era solo in parte. I Cinque Stelle trionfano a Roma con Virginia Raggi (praticamente una sconosciuta), triplicando i propri voti rispetto alle ultime comunali. La vittoria al primo turno era previsto. Non un trionfo di queste proporzioni. Così la candidata di Beppe Grillo ha ottime possibilità di diventare al ballottaggio la prima donna sindaco della "città eterna".

Ma che c’entra la profezia della Taverna? C’entra, eccome. La sua è una vittoria in cui poetano le divisioni sia a destra sia a sinistra: la “destra” Meloni sostenuta da Salvini che non riesce ad accedere alla sfida finale a causa del supersconfitto candidato di Berlusconi (Marchini); e la “sinistra” già in difficoltà che va al ballottaggio con Giachetti ma paga il dissenso dei fuoriusciti dal PD (Fassina). Ma, soprattutto, il successo dei Cinque Stelle è il risultato dei disastri combinati nella capitale del dissesto economico, degli scandali di Roma Capitale, del dissesto urbanistico, delle buche e dei rifiuti ad opera sia delle giunte Alemanno sia da quella di Ignazio Marino.

È insomma il voto di protesta il vero carburante dei “pentastellati” nel voto romano. Così come il vistoso afflosciamento del PD é anche il risultato di un renzismo in evidente difficoltà, fra crisi economica permanente e stile di governo troppo arrogante: oltretutto il premier ha voluto personalizzare la campagna elettorale preferendo insistere sulla riforma del Senato (ma si voterà solo in ottobre), cercando così di sviare l’attenzione degli elettori sempre meno interessati alla contesa politica (netto l’aumento degli astensionisti nei grandi centri). Così, fra i capoluoghi solo a Cagliari il PD riottiene il sindaco già al primo turno.

La sberla di ieri potrebbe diventare débâcle se Matteo Renzi non riuscirà, nella sfida decisiva fra 15 giorni, a riconquistare “almeno” tre delle tradizionali roccaforti del PD: Torino (altra città dove i cinque stelle hanno totalizzato un ottimo risultato strappando il ballottaggio), a Bologna (sperava che Merola ce la facesse al primo turno), e soprattutto Milano, dove l’ex patron dell’Expo, Giuseppe Sala, inizialmente dato per favoritissimo, si trova alle calcagni l’uomo del centro-destra Stefano Parisi, un manager che è quasi fotocopia del primo.

Sintesi del primo turno: un Cinque Stelle che galoppa grazie al feroce disincanto e alla rabbia degli elettori verso la politica tradizionale, ma che non sfonda nelle città dove c’è una buona dose di buon governo; un PD dovre si riaprirà il confronto interno fra un Renzi visibilmente in calo personale e la sinistra interna che ne contesta stile, obiettivi e alleanze (l’ex berlusconiano di ferro Verdini); un centro destra che, soprattutto se non dovesse realizzare il sorpasso nella capitale lombarda, assisterà al braccio di ferro finale fra Salvini e Berlusconi per la leadership dei cosiddetti moderati. L’ex cavaliere incassa una batosta a Roma, e già si dice che la sua sponsorizzazione di Marchini s’è trasformato in abbraccio fatale per il suo candidato. Senza Milano sarebbe davvero la fine.

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