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Georges Simenon: “Umiliare qualcuno è il crimine peggiore di tutti”

Georges Simenon con l inseparabile pipa e la moglie Denise.
Georges Simenon, con l'inseparabile pipa e assieme alla seconda moglie Denise, dalla quale si separerà a metà degli anni Sessanta. (immagine non datata) Keystone / Str

Il padre del commissario Maigret si spegneva a Losanna il 4 settembre del 1989. Un omaggio allo scrittore belga, che ha vissuto a lungo nei pressi di Losanna, attraverso le teche della Radiotelevisione svizzera.

Georges Simenon nasce a Liegi il 13 febbraio del 1903, in un anno in cui il 13 febbraio cade di venerdì. Alla madre Henriette, grande cuoca e donna di campagna, questa coincidenza suscita i brividi. Si adopera in tutti i modi per evitare che ciò accada, sforzandosi di anticipare il parto al 12, senza successo. Successo, invece, avrà quella prole, a dispetto dell’infausta coincidenza.

Le cifre parlano di circa 500 testi letterari, tra cui 200 romanzi (76 con il celebre commissario Maigret) e altrettanti “romanzi popolari”, scritti con 17 pseudonimi diversi (Georges Sim, Germain d’Antibes, …). La tiratura complessiva delle sue opere, tradotte in oltre cinquanta lingue e pubblicate in più di quaranta paesi, supera i settecento milioni di copie. Secondo l’Index Translationum, un database curato dall’UNESCO, Georges Simenon è il quindicesimo autore più tradotto di sempre (secondo se si restringe il campo agli autori francesi, dopo Jules Verne).

La vita

Lettore onnivoro fin da ragazzino, in particolare di Dumas, Dickens, Balzac, Stendhal, Conrad e Stevenson, nel 1919 Simenon entra come cronista alla Gazette de Liège, dove rimane per oltre tre anni firmandosi con lo pseudonimo di Georges Sim. Contemporaneamente collabora con altre riviste e all’età di diciotto anni pubblica il suo primo romanzo.

Dopo la morte del padre, nel 1922, si trasferisce a Parigi. Già nel 1923 collabora con una serie di riviste pubblicando racconti settimanali, e romanzi sentimentali presso diversi editori. Sarà, questo, l’apprendistato che gli consentirà di fare il salto nella grande letteratura. Nel 1929 dà vita al commissario Maigret che sbarcherà presto anche sul grande schermo, grazie ai registi Jean Renoir e Jean Tarride che producono i primi due film tratti dalle sue inchieste.

Con la prima moglie Régine Renchon intraprende lunghi viaggi per tutti gli anni trenta. Nel 1939 nasce il primo figlio, Marc. Nel 1940 si trasferisce a Fontenay-le-Comte in Vandea: durante la guerra intrattiene una lunga corrispondenza con André Gide. A causa di un’errata diagnosi medica, Simenon si convince di essere gravemente malato e scrive, come testamento, le sue memorie, dedicate al figlio Marc e raccolte nel romanzo autobiografico Pedigree.

Accusato di collaborazionismo (accuse rivelatesi poi infondate), Simenon decide di trasferirsi negli Stati Uniti, dove conosce Denyse Ouimet che diventerà sua seconda moglie e madre di suoi tre figli. Torna in Europa negli anni Cinquanta, prima in Costa azzurra e poi in Svizzera, a Epalinges nei dintorni di Losanna. Nel 1960 presiede la giuria della tredicesima edizione del festival di Cannes: viene assegnata la Palma d’oro a La dolce vita di Federico Fellini con cui avrà una lunga amicizia. Dopo pochi anni Simenon si separa da Denyse Ouimet e, in seguito ad un infortunio, assume una domestica perché lo accudisca nelle faccende domestiche: è Teresa Sburelin, di origini friulane, che gli resterà accanto fino alla morte.

Nel 1972 lo scrittore annuncia che non avrebbe più scritto, e infatti inizia l’epoca dei dettati: Simenon registra su nastri magnetici le parole che ha deciso di non scrivere più. Nel 1978 la figlia Marie-Jo muore suicida. Nel 1980 Simenon rompe la promessa fatta otto anni prima e scrive di suo pugno il romanzo autobiografico Memorie intime, dedicato alla figlia. Georges Simenon muore a Losanna per un tumore al cervello il 4 settembre del 1989.

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La scrittura

Simenon inizia la sua traiettoria di scrittore dai sottoscala della letteratura. Il suo primo lavoro, Le roman d’une dactylo (il romanzo di una dattilografa) è un testo sentimentale, che racconta la storia d’amore fra due giovani ragazzi, una storia fatta di follie, ostacoli, tentazioni, tradimenti, sacrifici, sino all’immancabile happy end. A questo romanzo popolare, scritto con lo pseudonimo di Jean du Perry, ne seguiranno infiniti altri.  Una produzione notevole: nell’arco di 5 anni pubblica oltre 170 romanzi sotto vari pseudonimi. Senza contare i 750 racconti, con cui allieta le pagine di riviste e giornali.

Nel 1929, in una serie di novelle scritte per la rivista Détective, appare per la prima volta il personaggio del commissario Maigret. È, questo, il punto di svolta, sebbene Simenon non ne sia consapevole. Del resto, lui continua a scrivere con la stessa semplicità di prima (usando pochi aggettivi: uno, al massimo due per frase) e con lo stesso fervore (seduto alla scrivania, come avvolto in uno stato di trance, Simenon scrive di media 80 pagine al giorno, pagine pressoché definitive, pronte per la stampa).

La sua scrittura è elementare, concreta, elegante; mai astratta. Il suo lessico si riduce a 2000 vocaboli. Quando scrivo tavolo, tutti pensano ad un tavolo. Se scrivo ‘affezionarsi’ si può pensare che mi riferisca ad un amore, o ad un’amicizia, oppure al rapporto tra due parenti…. 

Con 2000 vocaboli Simenon intesse storie e descrive psicologie di notevole spessore, senza ricorrere a metafore o fantasticherie, senza mai fare violenza alla realtà. Con appena 2000 vocaboli Simenon dà vita ad oltre 9000 personaggi (le inchieste di Maigret ne raggruppano 1830, tra cui 310 funzionari di polizia: Lucas, Janvier, Lapointe, Torrence, ….) e riesce ad alimentare per più di mezzo secolo il mito (invero assolutamente umano) del suo protagonista: il commissario Jules Maigret, il protagonista meno eroico e più popolare della letteratura europea, l’uomo della porta accanto che fa il poliziotto e di cui i lettori conoscono tutto: il modo di vivere, di mangiare, di rientrare a casa a tarda notte, con il passo appesantito sulle scale.

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Il commissario Maigret

La fama di Simenon è legata a doppio filo al personaggio di Maigret. La carta d’identità del commissario reca i nomi di Jules, François Amédée; l’attinenza di Saint-Fiacre Matignon; la residenza al numero 132 del boulevard Richard-Lenoir di Parigi; la discendenza da Evariste, amministratore del Castello di Saint-Fiacre, di cui è figlio unico. Studi interrotti in medicina a Nantes, sposato con Louise, un’alsaziana in carne e ottima cuoca.

Con Maigret Simenon trascorre 42 anni di vita e di avventure letterarie, dal 1929 quando il suo amato personaggio appare in Pietro il Lettone al 1972 quando lo scrittore da lui si congeda in Maigret e il Signor Charles.

Tra l’autore e il suo personaggio corrono grandi somiglianze: entrambi sono piuttosto alti e robusti. Hanno volto deciso ma al contempo pacioso ed umano. La pipa tra i denti. Vestiti curati, sobri, mai alla moda né civettuoli. I due manifestano inoltre gusti consimili: la passione per la birra, il vino, il calvados, il cognac, la prunelle. Il piacere della buona tavola: genuina, casalinga, senza pretese (ghiozzi ed andouillettes per intenderci, meglio ancora se serviti in una brasserie su tovaglie a quadretti).

Ma la cosa che più unisce Simenon a Maigret è la matrice dostoevskiana, matrice che possiamo riassumere in due regole: da un lato l’umanità (ovvero il calarsi nell’animo umano, giù giù, fino ad avere pietà anche del peggiore criminale, rispettandolo sempre, senza mai umiliarlo) e dall’altro la sospensione del giudizio (di memoria evangelica: non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati).

“Di veramente mio gli ho dato una regola fondamentale della mia vita: comprendere e non giudicare perché ci sono soltanto vittime e non colpevoli”. 

Due regole sostanziali che, del resto, lo stesso Simenon ha confessato di aver trasmesso al suo personaggio: Di veramente mio gli ho dato una regola fondamentale della mia vita: comprendere e non giudicare perché ci sono soltanto vittime e non colpevoli. E aggiungo un’altra regola che ho dato a Maigret: che non bisognerebbe mai togliere all’essere umano la sua dignità personale. Umiliare qualcuno è il crimine peggiore di tutti.

Due regole di cui Maigret appare sempre all’altezza, diversamente dal suo autore. Infatti, se sono molte le cose che accomunano l’autore al suo personaggio, altrettante sono quelle che lo distanziano, e queste sono le più sostanziali. Mentre Maigret è sempre parco di parole, compassionevole e riflessivo, Simenon è stato un fanfarone supponente e pieno di sé, che si vantava pubblicamente di aver scopato diecimila donne. Inoltre, durante la guerra apparve tutt’altro che compassionevole, arricchendosi con i libri e i film che sfornava, mentre c’era un popolo che soffriva. E poi c’è l’ombra dell’antisemitismo giovanile, sebbene poi pubblicamente abiurato.

Come spesso accade, dunque, anche per Simenon, il personaggio ha superato il suo autore, offrendone una copia più pura, edulcorata e sincera. Lo riconosce lo stesso Simenon, allorché decide di congedarsi da Maigret, invidiandone la compagnia della moglie, mentre lui si confessa solo, nonostante il successo e le diecimila donne scopate (molte delle quali, in verità, prostituite): Ecco, ora entrambi in pensione ad assaporare –lo spero per lei almeno– ogni piccola gioia della vita… Abbraccio commosso lei e la Signora Maigret, la quale probabilmente non sospetta che molte donne l’invidiano e che molti uomini vorrebbero aver sposato una donna come lei.

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