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Due vincitori e molti sconfitti alle elezioni nel Regno Unito

Carta di Laura Canali

Di Giorgio Cuscito (Limes)

I risultati delle elezioni svoltesi il 7 maggio nel Regno Unito hanno sorpreso molti. In particolare i sondaggisti, i quali si aspettavano che i due partiti principali, quello Conservatore e quello Laburista, ottenessero un numero simile di seggi, dando inizio al gioco delle coalizioni. Così non è statoCollegamento esterno e oggi i Tories del premier David Cameron sono da soli al governoCollegamento esterno. Eppure il loro potere non è solido come si potrebbe pensare. Cerchiamo di evincere dai risultati elettorali alcuni punti chiave.

Innanzitutto i vincitori sono due. Il primo è ovviamente il Partito Conservatore, che ha ottenuto 331 seggi alla Camera dei comuni, 24 in più rispetto alle elezioni del 2010, anche se l’aumento dei voti è stato solo dello 0.8%. Il suo successo è dipeso in parte dal meccanismo del first-past-the-postCollegamento esterno, il sistema maggioritario che premia i partiti secondo i voti ottenuti a livello di circoscrizione e valorizza la governabilità rispetto alla rappresentatività. Il Partito laburista (all’opposizione) ha ottenuto 232 seggi (26 in meno rispetto alla precedente elezione). I Tories ne hanno solo 12 in più rispetto alla somma di quelli degli altri partiti. Come si dirà in seguito, ciò potrebbe influire sulla stabilità del governo.

Il secondo vincitore è il Partito nazionale scozzese (Scottish national party, Snp), che ha guadagnato 56 seggi su 59 disponibili e si è affermato come la terza fazione politica del Regno Unito. La primo ministro della Scozia e sua leader Nicola Sturgeon ha detto che l’attribuzione di nuovi poteri in materia di tassazione, occupazione, salario minimo e welfare al suo paese è una “prioritàCollegamento esterno“.

Sturgeon ha anche affermato che l’Snp è il “principale partito d’opposizione”, malgrado in termini numerici lo sia quello Laburista.

Quest’ultimo è il primo degli sconfitti. Seguono poi il Partito Liberal Democratico, il Partito unionista democratico, nordirlandese e contrario alla disgregazione del Regno Unito (entrambi hanno vinto solo 8 seggi ciascuno), e il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (acronimo inglese Ukip). Ed Miliband, leader dei Labour, e Nick Clegg, a capo dei LibDem (che hanno perso 49 seggi su 57) hanno dato le dimissioni. Lo Ukip, che è a favore dell’uscita del Regno Unito dall’Ue, ha ottenuto solo un seggio ma ha guadagnato il 12.6% dei voti, un aumento del 9.6% rispetto alla precedente elezione. Il suo leader Nigel Farage ha prima annunciato di voler lasciare la guida del partito per poi ritirareCollegamento esterno la dichiarazione.

Questo scenario frammentato evidenzia che oggi nel Regno Unito non vige un sistema bipartitico, come richiederebbe il Modello Westminster. Piuttosto prevalgono tre o quattro partiti. E’ una delle ragioni per cui le elezioni non hanno determinatoCollegamento esterno una maggioranza solida. Anche la rappresentatività è scarsa, visto che il 63% degli elettori non ha votato per il Partito Conservatore, ora al governo.

Inoltre, in termini di distribuzione geograficaCollegamento esterno dei voti i Conservatori hanno prevalso principalmente in Inghilterra, mentre l’Snp ha avuto la meglio in Scozia. Questa frattura, che evidenzia il prevalere dei rispettivi sentimenti nazionalisti, indica che i dibattiti sull’uscita del Regno Unito dall’Ue (abbreviata con l’acronimo inglese Brexit) e sulla secessione della Scozia proseguiranno, influenzando la gestione del nuovo governo Cameron. Come è noto, il secondo tema è stato già affrontato nel referendum del 2014, che ha visto prevalereCollegamento esterno nettamente gli unionisti con il 55.3% dei voti.

Cameron aveva promesso un referendum sul Brexit per la fine del 2017, ma questo potrebbe essere anticipatoCollegamento esterno al 2016. Il premier è contrario all’uscita del Regno Unito dall’Ue, ma vuole rinegoziare i termini del rapporto con Bruxelles, cui secondo Londra sarebbero stati conferiti troppi poteri. Uno dei temi da affrontare è l’immigrazione, in particolare quella che origina dall’Europa dell’Est (Polonia in primis) e che si dirige verso il Regno Unito. Anche quella extracomunitaria è un problema. Basti pensare che quando l’Ue, per via della crisi umanitaria in LibiaCollegamento esterno, ha suggerito una spartizione dei migranti provenienti dall’Africa fra tutti i paesi membri, Cameron (insieme ad altri) ha rifiutato.

Qualche mese fa, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha detto che riformare il Trattato di LisbonaCollegamento esterno – che ha emendato la struttura e il funzionamento dell’Ue – è virtualmente una “missione impossibileCollegamento esterno“, visto che richiede il consenso dei 28 Stati membri. Servendosi della stessa metafora cinematografica, Cameron si è paragonatoCollegamento esterno all’attore Tom Cruise e ha detto che può raggiungere quest’obiettivo. Eppure all’interno dei Tories vi è un corposo gruppo euroscettico che potrebbe fare leva sulla sottile maggioranza conservatrice nella Camera dei comuni e cercare di convincere il premier britannico ad avanzare richieste più radicali, così da complicare il dialogo con l’Ue. Ciò aumenterebbe le tensioni nel Partito e metterebbe Cameron in una situazione scomoda sul piano internazionale. Il premier britannico ha già dichiarato che intende delegare più poteri a Scozia, Galles, Irlanda del Nord e Inghilterra. La prima delle tre è la più europeista e, nell’ipotesi in cui il Regno Unito uscisse veramente dall’Ue, le aspirazioni secessioniste dell’Snp potrebbero riaccendersi.

Questi fattori complicano notevolmente i prossimi cinque anni di Cameron e lasciano molti dubbi sulla futura integrità del paese.

Per approfondire: Dopo la vittoria: l’agenda quasi impossibile di David CameronCollegamento esterno

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