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Dopo l’attentato di Suruc, la Turchia di Erdogan serra i ranghi

Il progetto di Erdoğan Laura Canali

Di Giorgio Cuscito (Limes)

Questo contenuto è stato pubblicato il 22 luglio 2015 - 15:18

Ankara attribuisce la responsabilità dell'attacco allo Stato Islamico. La lotta al terrorismo in patria sarà più dura, ma un intervento in Siria è improbabile. Il rafforzarsi delle milizie curde nel Nord di questo paese potrebbe farle cambiare idea.

L'attentato suicida verificatosi in un centro culturale a Suruc, in Turchia lunedì 20 luglio ha mietuto oltre trenta vittime e ferito un centinaio di persone. Qui si erano riuniti membri della Federazione delle associazioni dei giovani socialisti per discutere dei piani di ricostruzione di Kobane, in Siria. Questa città, che si trova oltre il confine a pochi chilometri da Suruc, è stata teatro della battagliaLink esterno tra le milizie curde e lo Stato IslamicoLink esterno (Is), l'organizzazione terroristica guidata da Abu Bakr al Baghdadi, attiva in Iraq e Siria. A Kobane, la coalizione anti-IsLink esterno guidata dagli Usa ha sferrato nei mesi scorsi una serie di raid aerei e nel gennaio scorso i jihadisti ne hanno perso il controllo.

Secondo il governo turcoLink esterno sarebbe stato proprio un seguace dello Stato Islamico ad aver sferrato l'attacco a Suruc, anche se finora non c'è stata alcuna rivendicazione. Se tale affermazione fosse confermata, si tratterebbe del primo attentato suicida dell'Is in Turchia.

Nelle ultime settimane Ankara aveva intensificato gli sforzi per combattere l'estremismo islamico e condotto una serie di arresti. Il 18 luglio circa 500 persone sono state fermateLink esterno mentre tentavano di entrare nel paese dalla Siria.

Eppure non si può dire che sino a ora il governo turco si sia impegnato al massimo per arginare l'ascesa dell'Is. In questi anni, infatti, "combattenti stranieriLink esterno" da ogni parte del mondo sono transitati per la Turchia al fine di entrare in Siria e arruolarsi nelle tante milizie (tra cui quelle qaidiste e l'Is) che combattono il regime di Bashar al-Asad. Ciò è avvenuto con il tacito consenso del governo di Ankara, che considera quello di Damasco un antagonistaLink esterno regionale.

La Turchia non ha preso parte ai raid intrapresi dalla coalizione anti-Is in Siria e Iraq e ha vincolato la sua eventuale adesione (e l'utilizzo da parte degli Usa della base aerea di Incirlik per condurre gli attacchi) alla creazione di una zona di sicurezza e di una no-fly zone in Siria.

Davutoğlu ha annunciato che saranno ulteriormente rafforzate le misure di sicurezza lungo il confine con la Siria. Nel frattempo, a IstanbulLink esterno e Ankara si sono verificate manifestazioni di protesta (represse dalle Forze di polizia) contro il governo, accusato di non aver fatto abbastanza per prevenire simili attentati.

A questo punto, la Turchia potrebbe intensificare la lotta al terrorismo all'interno dei suoi confini, per evitare nuove tragedie. Erdoğan del resto non ha certamente intenzione di alimentare il malcontento della popolazione. Il calo di consensi verso il "sultano" è già parso evidente alle ultime elezioni parlamentariLink esterno, quando il suo Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp) ha perso la maggioranza assoluta. E' passato un mese dalla votazione ma il nuovo governo non è ancora stato formato.

Sulla popolarità di Erdoğan hanno inciso vari eventi, per esempio le proteste di Gezi ParkLink esterno, gli scandali di corruzioneLink esterno a lui legati, la censuraLink esterno in più occasioni imposta a Internet (vedi YouTubeLink esterno, TwitterLink esterno, anche oraLink esterno, dopo l'attentato di Suruc) e i tentativi di rafforzamentoLink esterno del controllo del potere esecutivo sul giudiziario.

Eppure, l'antagonismo tra Ankara e Damasco e le mire egemoniche del sultano nello scacchiere mediorientale rendono improbabile un intervento di larga scala in Siria contro lo Stato Islamico. Ciò infatti aiuterebbe indirettamente il regime di al-Asad.

Ad ogni modo, qualora attacchi simili a quelli di Suruc si verificassero in aree nevralgiche del paese come Ankara o Istanbul, un intervento limitato nelle aree confinanti non sarebbe da escludere. Si ricordi che la Turchia lo scorso febbraio ha compiuto in Siria un blitz dal valore simbolico per recuperare la tomba di Suleyman Shah, nonno di Osman I, il fondatore dell'impero ottomano, situata vicino ad Aleppo. Questa oggi si trova sempre in territorio siriano ma in un'area controllata dall'esercito turco, a 180 chilometri dal confine.

A ciò si aggiunga che in Siria i curdi stanno guadagnando terreno e controllano i tre cantoni di RojavaLink esterno: Tal AbyadLink esterno, Kobane e Jazeera. Il timore del governo turco è che i curdi creino uno Stato proprio nel Nord della Siria o comunque che, consolidando qui la loro presenza, limitino lo spazio di accesso di Ankara al resto del Medio Oriente.

Da anni, il governo turco ha problemi con la minoranza etnica e cerca una soluzione pacifica e duratura nei negoziati in corso con il Pkk di Abdullah Öcalan, l'organizzazione militante per l'auto-determinazione del Kurdistan turco. In più alle elezioni parlamentari, il Partito Democratico dei Popoli (Hdp, il partito dei curdi), guidato da Selahattin Demirtaş, è entrato per la prima volta in parlamento ottenendo il 13% dei voti. Ora vorrebbe consolidare la sua presenza a livello nazionale. Il rapporto con i curdi in patria e l'avanzata di quelli in Siria incideranno sulle future strategie di Ankara in Medio Oriente.

Pertanto, un eventuale intervento oltreconfine avrebbe ragioni difensive: ridimensionare il ruolo dei curdi sul territorio siriano e allontanare i jihadisti dai propri confini. Magari senza semplificare la vita ad al-Asad.

Per approfondire: La radice quadrata del caosLink esterno

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