Bad bank: un accordo per salvare la faccia
di Angelo Baglioni, Lavoce.info
L’accordo con la UE sulla bad bank è figlio di una contraddizione: intervento dello Stato senza aiuto di Stato. Ne è nato uno strumento che rischia di servire ben poco all’economia italiana. È servito però al governo e alla Commissione UE per salvare la faccia.
L’accordo raggiunto il 26 gennaio tra il Ministro Padoan e la Commissaria europea alla concorrenza Vestager, relativo alla vendita delle “sofferenze” accumulate dalle banche italiane, arriva alla fine di una lunga trattativa. L’accordo prevede che le banche italiane possano cedere sul mercato i prestiti verso soggetti insolventi, usufruendo di una garanzia statale. Una banca potrà vendere un pacchetto di sofferenze a una società creata appositamente; questa, a sua volta, emetterà obbligazioni per raccogliere i soldi necessari a comprare quelle sofferenze. Chi acquista le obbligazioni sarà ripagato con i soldi che verranno recuperati tramite l’attività di riscossione dei prestiti. E qui interviene la garanzia statale: se la riscossione andasse male, lo Stato ripagherà i sottoscrittori delle obbligazioni. Questo contorto meccanismo è quello che va sotto il nome di “cartolarizzazione”, con l’aggiunta della possibilità, per la banca interessata, di richiedere la garanzia statale. La società che acquista le sofferenze ed emette le obbligazioni va sotto il nome di “bad bank“. Le obbligazioni sono le tristemente famose Asset Backed Securites (ABS).
Aiuto di Stato? Dipende dal prezzo
La garanzia statale è stata la materia del contendere tra il governo italiano e la Commissione UE. Il suo scopo è rendere più sicure le obbligazioni ABS. Il punto cruciale è il prezzo che una banca dovrà pagare allo Stato per usufruire della garanzia. Se il prezzo è troppo alto, l’operazione non è conveniente per la banca che vuole liberarsi delle sofferenze. Se il prezzo è troppo basso, la garanzia diventa un aiuto di Stato, e questo comporta l’applicazione del famigerato bail-inCollegamento esterno : gli azionisti e i creditori della banca devono subire perdite, secondo un ordine prestabilito. Naturalmente in questo secondo caso lo strumento della garanzia statale diventerebbe di fatto inutilizzabile: ogni banca che ne facesse richiesta farebbe la fine delle quattro banche regionali “salvate” con il decreto governativo del novembre scorso. Per questo motivo, il governo italiano si è adoperato per evitare che la garanzia statale fosse considerata un aiuto di stato, e alla fine ci è riuscito.
Tuttavia, l’accordo con l’Europa è stato raggiunto ricorrendo al solito bizantinismo: “il prezzo della garanzia è di mercato” (così il comunicatoCollegamento esterno del MEF). Peccato che questo mercato non esiste. Anzi, il provvedimento in gestazione dovrebbe, nelle intenzioni delle autorità, contribuire a fare nascere un mercato delle sofferenze bancarie attualmente inesistente. E se non esiste il mercato delle sofferenze, in particolare dei titoli ABS aventi come sottostante le sofferenze, non può esistere neanche un mercato delle garanzie sul rischio di quei titoli. Ecco perché l’accordo prevede che si vadano a prendere “come riferimento i prezzi dei CDS degli emittenti italiani con un livello di rischio corrispondente a quello dei titoli garantiti”. I Credit Default Swaps sono contratti di assicurazione sul rischio di credito, quindi sembrerebbero strumenti adatti allo scopo. Ma chi deciderà quali emittenti prendere come riferimento? È probabile che la trattativa con l’Europa non sia terminata, ma continui a livello tecnico sui dettagli che risulteranno determinanti per stabilire il prezzo della garanzia.
Un altro limite dell’accordo nasce dal fatto che la garanzia statale potrà essere concessa solo sulla tranche senior delle obbligazioni. Questa è la “fetta” di obbligazioni che ha diritto alla precedenza nel rimborso: l’altra fetta, cosiddetta junior, può essere rimborsata solo dopo che i creditori senior sono stati ripagati. Quindi la tranche senior è quella più sicura. Ma questa limitazione solleva un interrogativo: chi comprerà le tranche junior? È vero che qualche fondo speculativo disposto ad acquistarle si troverà, ma questo vorrà spuntare un prezzo molto basso: sarà disposto a prendersi un alto rischio solo in cambio di un elevato rendimento atteso. Ma allora le banche potrebbero avere poca convenienza a fare queste operazioni di cartolarizzazione, perché facendole sarebbero costrette a svendere le sofferenze e a contabilizzare perdite immediate in bilancio; meglio tenersi i prestiti e sperare di recuperare qualcosa. Quindi lo strumento appena introdotto rischia di restare in larga misura inutilizzato.
Un accordo di facciata
Questo pasticcio nasce da una contraddizione di fondo tra due obiettivi in contrasto tra di loro: quello di agevolare la vendita sul mercato delle sofferenze bancarie, grazie alla garanzia statale, e quello di evitare che tale garanzia sia un aiuto di Stato. È la classica “moglie ubriaca e botte piena”. L’intervento statale avrebbe avuto senso solo se fosse stato possibile concedere la garanzia ad un prezzo agevolato; oppure nel caso di una “bad bank di sistema”, cioè di una società-veicolo unica in cui concentrare tutte le sofferenze accumulate dal sistema bancario italiano. In questi due casi lo Stato avrebbe svolto una funzione che un soggetto privato non avrebbe potuto o voluto svolgere. Ma a queste condizioni, dove ogni banca fa da sé e la garanzia statale è a “prezzi di mercato”, a cosa serve l’intervento dello Stato? Forse serve solo a dire che il governo ha mantenuto la sua promessa di risolvere il problema delle sofferenze bancarie, e che la Commissione UE non è poi così cattiva come qualcuno vuole fare credere (soprattutto dopo il “salvataggio” delle quattro banche regionali). Insomma, il classico accordo fatto per salvare la faccia a tutti.
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