L’uomo nero che rende duri i cuori degli italiani
In politica, l'Italia è spesso stata all'avanguardia, un laboratorio. Un anno fa i populisti hanno vinto le elezioni. L'esperimento è già alla frutta?
Italia, un Belpaese? Così sembra. L’Italia sta morendo di una piccola morte. Niente di permanente, almeno c’è da sperare. Quale morte politica è permanente? Si può però parlare di piccola morte, almeno per tutti coloro che si sono convinti che con la bellezza e l’eleganza italiana la vita sarebbe stata un po’ più facile nonostante tutte le avversità. Sorridente, improvvisatore, autoironico, tipicamente italiano.
Qui la versione originale del testo pubblicata dal Tages-AnzeigerCollegamento esterno
Questa certezza è sparita
È passato un anno dal giorno in cui gli italiani hanno votato per due partiti, il Movimento Cinque Stelle e la Lega. Entrambi si sono auto dichiarati rappresentati dell’intero popolo italiano, il che è già una contraddizione in termini. Da quando i due governano insieme, hanno persuaso gli elettori che a causa delle ingerenze delle potenze straniere e delle élite malvagie, senza dimenticare i migranti che hanno accerchiato il paese, gli italiani non sono più padroni in casa propria. Rabbia e livore, il pane quotidiano. Il frutto di un anno di populismo. La propaganda dei populisti è grottesca, a volte involontariamente comica, mai però divertente. E fa impazzire le persone.
Di recente in piazza, abbiamo colto la conversazione tra un custode meridionale e un fruttivendolo tunisino che vive da tempo a Roma, dove ha il suo negozio e dove vota. Marco, che in realtà si chiama Mohammed, ma ovviamente preferisce farsi chiamare Marco, racconta che “Il problema non sono i fascisti, ma gli antifascisti”. Gli antifascisti sono i veri fascisti. Probabilmente l’ha sentito alla televisione o forse lo ha letto in Internet.
Quella debolezza per l’Uomo forte
All’estero non si ha idea di quanta stupidità sia diffusa e riportata in Italia, nei talk show e nei social media, il tutto senza filtri, senza contraddittori. Il nuovo potere ha preso il controllo anche della televisione di Stato.
“Mamma Rai” ora parla come i populisti attraverso tutti i suoi canali. L’euro è una camicia di forza, Macron è un ipocrita, la Germania si arricchisce sulle spalle dell’Europa. TG2, il telegiornale di Rai Due, si è presto guadagnato il soprannome di “Tele Visegrad” per la sua linea sovranista.
In piazza, il custode e il fruttivendolo si sono subito trovati d’accordo sul fatto che il futuro dell’Italia appartiene a Matteo Salvini, il ministro dell’Interno leghista, chiacchierone e allarmista, guardiano del porto e xenofobo. Salvini non ha concorrenza. Il quotidiano “Il Foglio” lo chiama ormai “il Truce”, a lettere maiuscole, personaggio sinistro, il diavolo in persona. Un mix di Trump, Bolsonaro, Orban, con una spolverata di venerazione per Vladimir Putin. Rispetto a Salvini, Silvio Berlusconi, il leader della destra prima della “Truce”, era una specie di Adenauer. Così almeno si esprime oggi chi odiava Berlusconi.
Salvini sale e sale nei consensi. Gli italiani hanno un debole per l'”Uomo forte”, l’uomo che prende tutto nelle sue mani, anche il caos, e dice di voler mettere ordine. Belpaese?
Nell’ultimo rapporto dell’Istituto di ricerca Censis, che da cinquant’anni indaga lo stato d’animo degli italiani, ci si imbatte in modo ricorrente nelle seguenti parole: “disorientamento”, “rabbia”, “amarezza”, “malizia”. Il paese sta vivendo una “enfasi identitaria senza precedenti”. Il titolo: “L’Italia preda di un sovranismo psichico”. Mai un rapporto del Censis è stato così cupo. È stato pubblicato a dicembre, quando non si sapeva ancora che l’Italia stava scivolando di nuovo nella recessione.
Ma tutto dovrebbe migliorare con la nascita della Terza Repubblica, il grande cambiamento epocale. Il popolo dovrebbe finalmente riconquistare il potere. In Parlamento dovrebbero sedere cittadini come me e te, così come nei ministeri. Il vento della protesta dovrebbe spazzare via tutti, il fuoco sacro dell’ira dovrebbe purificare tutto.
“Non conta ciò che è reale, ma ciò che diventa virale”.
Gianroberto Casaleggio
Il 4 marzo 2018, una domenica, un italiano su tre che si è recato alle urne ha votato per un partito fondato da un comico e da un imprenditore digitale. Cinque stelle, tutte gialle. Beppe Grillo, il comico, diventa ancora più popolare quando, passando come una furia da un palazzetto dello sport all’altro, racconta al suo pubblico che è ormai giunto il momento di mandare all’inferno la vecchia e corrotta casta politica. “Vaffanculo!” Su molte cose aveva ragione. La casta si era mangiata l’impossibile, gli aneddoti sul tema hanno riempito interi libri. Gianroberto Casaleggio, il guru pentastellato della rete, una volta disse: “Non conta ciò che è reale, ma ciò che diventa virale”.
Oggi suona banale, ma allora era visionario. Casaleggio non ha potuto vivere il trionfo della sua creatura. È morto nel 2016. Il movimento era tutto e niente, né carne né pesce, né di destra né di sinistra. Era semplicemente contro: contro i grandi progetti edili, le lunghe gallerie attraverso le Alpi, il gasdotto sotto l’Adriatico, gli inceneritori, contro i Giochi Olimpici di Roma, contro l’obbligo di vaccinazione. Contro l’intera maledetta corrente tradizionale, contro il buon senso. Che questa rottura del sistema che giunge dal basso potesse effettivamente funzionare lo si intuiva dalle prime avvisaglie, i primi segnali.
La lunga crisi economica ha comportato profonde lacerazioni in tutta la società, non solo ai suoi margini. La rabbia ha colpito anche la classe media. L’Italia, che negli anni ’90 del secolo scorso era diventata una potenza economica pari alla Gran Bretagna, si è vista relegata dal quinto all’ottavo posto nella classifica mondiale. La globalizzazione ha fatto più vittime qui che altrove, soprattutto nel Sud. Le città soffrono e le periferie non sono più il primo mondo. Il Sud inizia da Roma.
Un giorno d’inverno prima delle elezioni, davanti a una camomilla nella biblioteca di Paolo Flores d’Arcais a San Giovanni, un quartiere della borghesia romana. Grandi quadri sulle pareti, pini fuori dalla finestra. L’intellettuale di sinistra e direttore della rivista Micro Mega è stato uno degli esponenti più importanti tra i molti elettori di sinistra che si sono tuffati nell’indefinibile mondo dei Cinque Stelle. “Nel nostro Palazzo”, dice, “ci sono tre scale, conosco tutti i residenti. Alcuni votavano sinistra, altri Berlusconi, altri ancora Berlusconi lo avrebbero preferito bruciare. Ora tutti votano per i Cinque Stelle, pure mia moglie ed io, anche se è come giocare d’azzardo, una la roulette russa”.
Dalla disperazione ai Cinque Stelle. La politica professionale racconta Flores d’Arcais, era un grosso problema, la radice di molti problemi. Naturalmente non tutti i politici sono ladri, come racconta Grillo. Ma nel frattempo il comico si è assicurato il copyright per le critiche fondamentali al sistema.
“Matteo Renzi era peggio di Berlusconi” Paolo Flores d’Arcais
Undici milioni di italiani hanno votato per i Cinque Stelle il 4 marzo 2018, tra cui circa tre milioni e mezzo di vecchi elettori del Partito Democratico. Partito che aveva governato il paese in modo onorevole e l’aveva fatto uscire dalla crisi, ma questo non è servito a nulla. Prima delle elezioni Flores d’Arcais disse che “Matteo Renzi era peggio di Berlusconi”. Renzi si è venduto all’estero come un innovatore, ma le sue riforme neoliberali sono più pericolose dei piani di Berlusconi. “Contro Berlusconi c’era resistenza, con Renzi era sparita”.
In questa interpretazione c’è dentro tutto, tutto il bizzarro dramma dell’Italia. Parte della sinistra ritiene che Renzi sia il vero male. Le coordinate di base del paese si sono confuse, niente corrispondete più a niente.
Realtà? Fake News!
Il politologo Giovanni Orsina scrive che la politica italiana è diventata un “teatro dell’assurdo”. Ogni piroetta, ogni assurdità non solo è tollerata ma anche premiata.
Tutto è iniziato con Berlusconi 25 anni fa, un attore formidabile, occorre ammetterlo. Era anche scenografo, regista, venditore, recensore di se stesso, era semplicemente tutto. Quando la politica si riduce a uno spettacolo, cambiano anche i criteri di analisi. “La politica”, dice Orsina, “non va più bene quando è coerente ed efficace, ma solo quando intrattiene, commuove, incanta”. La realtà non conta più, in caso di dubbio è una fake news o un’opinione. L’Italia è l’avanguardia europea, ancora una volta un laboratorio politico. Già con il fascismo era davanti a tutti gli altri. Berlusconi fu un precursore di Trump. Ed ora, per la prima volta, il populismo è salito al potere.
“La politica non va più bene quando è coerente ed efficace, ma solo quando intrattiene, commuove, incanta”. Giovanni Orsina
Il pubblico italiano si annoia in fretta. È vero. Con Renzi fu così. Era troppo spesso sul palco, amava lusingarsi, faceva battute argute ma malvagie su amici e nemici, insomma sempre lo stesso gioco. “Un anno e mezzo dopo”, dice Orsina, “il pubblico non poteva più sopportarlo”. Nessuno ha imparato nulla da questa esperienza, la voglia di salire sul palco è cresciuta ulteriormente. Salvini cambia così spesso casacca che si potrebbe pensare che voglia interpretare tutti i ruoli. Preferisce soprattutto indossare le uniformi. Della polizia, dei carabinieri, dell’esercito, dei vigili del fuoco, della protezione civile. Quando viene distrutto un campo Rom o chiuso un campo di accoglienza per rifugiati, sale su una scavatrice per i fotografi e indossa un casco da cantiere, aggiungendo che la “pacchia” (per i migranti) è finita.
Un bel paese? I Cinque Stelle corrono dietro, senza fiato, è tragico. Ecco una scena emblematica. Luigi Di Maio, il “capo politico” del partito, con alcuni suoi colleghi ministri, si fa vedere sul balcone di Palazzo Chigi, come se fosse un palcoscenico, e saluta una piccola folla di parlamentari frettolosamente convocati. “Ce l’abbiamo fatta”, grida loro, mostrando l’indice e il medio per segnare la vittoria. E ancora: “Ce l’abbiamo fatta.” La claque, tre dozzine di pentastellati, sventola bandiere di partito così linde che devono essere per forza nuove. “Luigi, Luigi, Luigi!”
È il 28 settembre 2018, tarda sera, Piazza Colonna è vuota. Il Consiglio dei ministri ha appena concordato di indebitarsi più di quanto concordato con Bruxelles. 2,4%! Vaffanculo! Più debiti, proprio così, contro ogni regola e ragione, e tutto questo deve essere festeggiato. “Luigi, Luigi, Luigi!” Di Maio aggiunge che la povertà è stata abolita con questo “bilancio del popolo”, il reddito di cittadinanza e la pensione. Tutto a credito, come se non ci fosse un domani. Si toglie la cravatta, cosa che non fa mai. Fantastico.
Il balcone al primo piano è stretto, un balcone decorativo. Nella balaustra sono infilzate due bandiere, quella italiana e quella europea, illuminate dai fari. Il poeta Gabriele D’Annunzio un tempo lo definì “Insetto d’Italia”. Nella storia del paese, nessun politico è mai salito su quel balcone. Il Duce utilizzava quello di Palazzo Venezia, a due fermate di autobus. Nemmeno Berlusconi e Renzi si sono avventurati su quel balcone, nonostante la tentazione. E Francesco Totti, il calciatore romano, il re della città, si mostrò solo brevemente alla finestra e alzò il trofeo vinto dagli Azzurri ai mondiali tedeschi del 2006. Questa occasione sarebbe stata perfetta per salire sul balcone.
Nemmeno Berlusconi o Renzi si sono avventurati sul balcone di Palazzo Chigi
In quella mite serata autunnale, Di Maio ha rotto un tabù di cui se ne parlerà ancora a lungo. Così sono arrivati al potere, persone come me e te, e hanno rapidamente sradicato la povertà. Avanti dunque! L’inesperienza viene brandita come un trofeo. Ogni congiuntivo sbagliato, ogni errore geografico è un punto a loro favore, a favore del popolino e contro le élite annoiate. Di Maio, collegato da Pechino, chiama Xi Jinping, presidente della Cina, semplicemente “Ping”. Pinochet diventa il dittatore del Venezuela e non del Cile.
Per Danilo Toninelli, ministro italiano dei Trasporti pentastellato, la galleria di base sotto il Brennero non ha portato nulla, i dati sul trasporto merci lo dimostrano. Il ministro dei Trasporti è stato poi informato che il tunnel ancora non esiste.
Ogni buona pièce teatrale ha bisogno di uno sciocco, e Toninelli lo gioca in modo grandioso, anche se non intenzionalmente. Quando è crollato il ponte Morandi a Genova, nell’agosto 2018, ha subito promesso che in meno di un anno sarebbe stato ricostruito e che la società autostradale, colpevole di tutto, avrebbe perso la licenza, subito. Anche lui è stato applaudito. Ora lo sappiamo meglio. Autostrade per l’Italia ha mantenuto la licenza, e il vecchio ponte non è ancora stato completamente smontato.
L’incompetenza dopotutto non è una virtù, nemmeno in politica. Salvini ha tranquillamente messo con le spalle al muro i Cinque Stelle. È un politico professionista, lui, e non ha mai fatto altro in vita sua. In meno di un anno ha cambiato l’equilibrio di potere nella coalizione. Dopo le elezioni, la Lega si è attestata al diciassette per cento, ora è due volte più forte. Ha rubato la lucentezza delle stelle, le ha trascinate in un angolo buio e ha indebolito tutti i loro principi. Se i Cinque Stelle erano un tempo un simpatico gruppo poco omogeneo, né carne né pesce, né di destra né di sinistra, ora sono solo una “costola dell’estrema destra”, come l’ha descritta una senatrice delusa dei Cinque Stelle. Un’anima persa e confusa. Nelle elezioni regionali in Sardegna di domenica scorsa, il partito si è schiantato come mai è successo prima d’ora in Italia. Dal 42,5 al 9% in un solo anno. Stessa situazione in Abruzzo. Le elezioni sono di nuovo decise sul vecchio asse: sinistra contro destra. I giornali si stanno già chiedendo: il bipolarismo è tornato? Tutto sarà presto come è sempre stato? Tornano anche i dem, che erano già considerati morti e sepolti? Nessuno osa fare un pronostico.
Il diavolo ha vinto
L’intellettuale di sinistra Paolo Flores d’Arcais ammette che Di Maio si è sottomesso a Salvini, si coccola nella sua ombra. “Il mare degli elettori senza casa è appena diventato un oceano.” Appartiene ai senzatetto, probabilmente anche ai suoi vicini di casa a San Giovanni. “Non riesco a pensare ad un partito per cui votare”, dice. Poi pensa di nuovo: “No, davvero, non ne conosco nessuno.” Il diavolo ha vinto, rende i cuori duri. Molti italiani credono che nulla li metta più a rischio dello straniero, dell’africano, dell’uomo nero che attraversa il Mediterraneo. Anche se quasi nessun altro africano arriva ormai più via mare: Salvini continua a coltivare la paura, ogni ora, via Twitter, Instagram, Facebook. Stabilisce l’agenda, nessuno interferisce. L’opposizione? È annegata, spazzata via. Gli intellettuali stanno ancora discutendo la rottura tra il popolo e l’élite, mentre loro sono già oltre, nel profondo del regno dello paura.
Nei sondaggi, un italiano su due si dice incline alla xenofobia. Ma cosa sta succedendo? Gli italiani, ironia della sorte. Un popolo di emigranti vede con odio gli immigrati, quello stesso odio che essi stessi hanno dovuto sopportare tempo fa all’arrivo a New York o a Sydney, in Germania, Francia, Svizzera. I populisti non accettano però l’obiezione. Dicono che era diverso allora, gli italiani venivano accolti come lavoratori qualificati, voluti e integrati. Tutti quanti. Certo, è un falso mito. La gente si nascondeva nel ventre delle navi che attraccavano ad Ellis Island, proprio come oggi. Ma allora erano gli italiani. Anche loro erano spinti dalla speranza di una vita migliore.
Rifugiati economici, si direbbe oggi. Ma non è ancora passato così tanto tempo. Ogni anno centinaia di migliaia di italiani lasciano ancora il loro paese. Il bilancio demografico è da tempo drammaticamente negativo. In nessun altro paese europeo nascono così pochi bambini come in Italia. C’è un bisogno urgente di immigrati: nelle fabbriche, nei campi, nella sanità, nella cura degli anziani. Soprattutto, gli immigrati sono necessari affinché le casse dello Stato siano rimpolpate e che lo stesso Stato possa ancora pagare le pensioni. Quelle degli italiani. Ma perché questo accada, gli immigrati devono essere assunti legalmente. Non più in nero.
La realtà è complessa, spesso in contrasto con la propaganda. Nessuno vuole sentirla. Resta solo la speranza che gli italiani si annoino presto di nuovo, che Salvini dia sui nervi a tutti con le sue numerose casacche, con le quali mette in scena lo stesso teatrino. E che presto qualcuno arrivi con un nuovo repertorio, una nuova storia. Forse una donna? Una donna forte. Non può che diventare più bella.
Tradotto dal tedesco da Riccardo Franciolli
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