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“Sony hack”: le sanzioni degli Usa contro la Corea del Nord e il monito per la Cina

Cartina di Laura Canali tvsvizzera

di Giorgio Cuscito (Limes)

Questo contenuto è stato pubblicato il 07 gennaio 2015 - 14:36

Gli Stati Uniti hanno imposto delle sanzioni economicheLink esterno contro la Corea del Nord del dittatore Kim Jong Un, considerata responsabile di un attacco cibernetico contro la Sony Pictures Entertainment, casa cinematografica hollywoodiana sussidiaria dell'omonimo gigante nipponico.

A metà novembre, un gruppo di pirati informatici dal nome "Guardiani della pace" ha violato numerose email private e file di lavoro della Sony Pictures, inclusa una prima versione del manoscritto del prossimo filmLink esterno su James Bond, e riversato tutti i dati online. In un secondo momento, gli hacker hanno chiestoLink esterno alla casa cinematografica di ritirare "

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", una commedia satirica su un piano della Cia per assassinare Kim Jong Un.

Schermaglie cibernetiche

Il film doveva essere disponibile nelle sale cinematografiche Usa dal 25 dicembre, ma alcune di queste hanno deciso di toglierlo dalla programmazione a causa di minacce terroristiche lanciate dai "Guardiani della pace". Di qui la scelta della Sony Pictures di ritirarlo.

Successivamente, forse per via anche del dissensoLink esterno del presidente Usa Barack Obama verso questa mossa, la casa cinematografica è tornata parzialmente sui suoi passi e ha reso disponibile onlineLink esterno a pagamento "The Interview".

Secondo l'FbiLink esterno, sarebbe stata proprio la Corea del Nord ad aver sferrato l'attacco cibernetico, anche se alcuni analistiLink esterno non sono d'accordo. Pyongyang, che a giugno aveva definitoLink esterno il film come un "atto di guerra", ha negato qualunque coinvolgimento nell'hackeraggio.

In seguito, Obama ha promesso di rispondere in maniera proporzionale agli attacchi cibernetici nordcoreani. La Casa Bianca avrebbeLink esterno persino chiesto alla Cina di aiutarla a prevenirne di ulteriori.

La richiesta ha senso sul piano logistico, meno su quello politico. L'Internet di Pyongyang si collega al resto del mondo solo attraverso un provider cinese: China Unicom. Tuttavia, Washington e Pechino si accusano reciprocamenteLink esterno di pirateria informatica e i lavori presso il Comitato bilaterale sino-statunitense per lo spionaggio informatico sono in fase di stallo. Inoltre, la Cina è il più grande alleato della Corea del Nord, che dall'Impero del Centro dipende quasi interamenteLink esterno sul piano economico. Per Pechino, Pyongyang è una pedina importante per contrastare la strategia di contenimentoLink esterno voluta dagli Usa. Basti pensare che la Corea del Sud, che confina con quella del Nord lungo il trentottesimo parallelo, ospita circa 29 mila soldati UsaLink esterno. Nonostante ciò, Pechino desidera mantenere lo status quo nella penisola coreana e spesso non gradisce l'assertività del giovane Kim (vedi la reazione cineseLink esterno al terzo test nucleare condotto da Pyongyang nel febbraio 2013).

Pechino non ha dato una risposta ufficiale alla richiesta Usa e ha affermato che non ci sono prove che la Corea del Nord sia responsabile dell'attacco cibernetico. Nonostante ciò, nella settimana di Natale la connessione Internet di Pyongyang ha subito numerosi rallentamenti e si sono verificateLink esterno anche totali interruzioni del traffico dati. L'attacco informatico è stato rivendicato da un gruppo di hackerLink esterno associato ad Anonymous e gli Stati Uniti hanno negato qualunque coinvolgimento.

Washington ha poi imposto delle sanzioni economiche contro il regime di Kim, colpendo dieci funzionari militari e tre enti nordcoreaniLink esterno: il Reconnaissance General Bureau, la principale agenzia d'intelligence di Pyongyang, che Washington considera responsabile di molti attacchi cibernetici; la Korea mining development trading corporation, primo fornitore di armi del paese; la Korea tangun trading corporation, responsabile per l'approvvigionamento di materie prime e tecnologie necessarie per i programmi di ricerca e sviluppo della difesa della Corea del Nord. Questi provvedimenti hanno soprattutto un valore simbolico, visto che il paese è da anni soggetto a sanzioniLink esterno che lo hanno sempre più isolato dal resto del mondo.

La dubbia riapertura alla Corea del Sud

Nel bel mezzo delle schermaglie cibernetiche con gli Usa, Kim ha adottato (apparenti) toni distensivi verso Seoul, suo primo antagonista e tra i principali alleati di Washington in Estremo Oriente. Le due Coree sono tecnicamente in guerra, poiché il conflitto che si è svolto tra il 1950 e il 1953 è terminato con un armistizio, cui non ha fatto seguito un trattato di pace.

Nel discorso per l'anno nuovoLink esterno, Kim ha risposto a una proposta di dialogo di Seoul dicendo che "è possibile riprendere i colloqui di alto livello e i negoziati settoriali se le autorità sudcoreane sono sincere nel voler migliorare le relazioni tra le due Coree".

In altre occasioni i due paesi hanno manifestato l'apparente intenzione di ricucire i rapporti ma provocazioni da entrambe le parti hanno rimandato concreti passi in avanti. E' improbabile che questa volta sia diversa. Kim, infatti, ha affermato che continuerà a dare la priorità al rafforzamento militare; in più ha chiesto a Seoul di smettere di criticare il regime nordcoreano e di porre fine alle esercitazioni militari annuali condotte con gli Usa, evento che crea periodicamente tensione tra le due Coree.

Come se non bastasse, Seoul ha definito le sanzioni adottate da Washington contro Pyongyang "appropriateLink esterno". In più ha affermatoLink esterno che la Corea del Nord dispone di un esercito cibernetico composto da 6 mila persone, 3 mila in più rispetto alle stime precedenti, e starebbe facendoLink esterno passi in avanti nello sviluppo del suo programma nucleare. Insomma, la strada verso la riappacificazione pare ancora lunga.

"Sanzioni cibernetiche": un precedente?

Non è chiaro se queste schermaglie cibernetiche alimenteranno effettivamente la tensione tra Usa-Corea del Sud e Corea del Nord.

Tuttavia, le sanzioni statunitensi offrono uno spunto interessante. È la prima volta che Washington si serve di questo strumento per "punire" un paese considerato responsabile di aver hackerato un'azienda privata americana. Eppure in più occasioni gli Usa hanno accusato la Cina di tale crimine. Del resto, i rapporti con Pechino hanno un altro peso – politico ed economico - nelle strategie della Casa Bianca rispetto a quelli con Pyongyang e sono già sufficientemente tesi. Ad ogni modo, l'adozione delle sanzioni contro il regime di Kim potrebbe essere un importante indizio su come Obama intende rispondere a futuri attacchi cibernetici per cui reputa responsabile un paese straniero. Resta da vedere se può trattarsi di un efficace mezzo di deterrenza oppure no.

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