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“Mamma” Meloni, gli squadristi del web e il cattivo esempio della politica

tvsvizzera

di Aldo Sofia

Nel cuore della finanza italiana, a Piazza Affari a Milano, che ospita il Palazzo della Borsa, si staglia una statua dell’artista Maurizio Cattelan: oltre quattro metri d’altezza, una mano senza quattro dita, l’unico rimasto è il medio, ben proteso, proprio come nel gestaccio assai in voga quando si tratta di mandare volgarmente qualcuno all’inferno. Certo, Cattelan è un artista bravo, affermato, spesso intelligentemente provocatorio. Comunque quella sua opera doveva essere una presenza temporanea (durante l’era Moratti), e s’è invece deciso di lasciarla in permanenza (decisione della giunta Pisapia). Qualcosa di decisamente simbolico nel Bel Paese che, dal gesto dell’ombrello in giù, ha fatto dell’insulto una…variegata forma d’arte. Anche nel “dibattito” politico. E naturalmente pure per quanto riguarda la vigliaccheria (perché quasi sempre anonima) delle invettive sul web.

Così, Giorgia Meloni, destra post-fascista, leader di Fratelli d’Italia, donna simbolo dell’italianissima e forzuta fermezza nazionale, si ritrova sommersa dagli insulti in rete dopo aver annunciato via TV, e dalla piazza romana del “Family day”, di essere felicemente incinta. Certo, un po’ paradossale visto che, lei non sposata, lo comunica al paese durante la manifestazione dedicata alla famiglia tradizionale in contrapposizione alla famiglia gay e in qualche modo a quella dei conviventi magari con prole. Basterebbe un sorriso, un appunto, una divertente battuta (“è come andare a un Festival Vegano e affermare di aver appena gustato una bella fiorentina al sangue”, pungola la Littizzetto). E invece no. Sulla rete vengono vomitate le affermazioni più volgari, fotomontaggi turpi, addirittura auguri di morte per lei e il futuro neo-nato. Insomma, ancora una volta il peggio del peggio.

Dal mondo politico si alza dunque un coro sdegnato di caloroso e multi-partisan sostegno alla parlamentare ed ex ministra berlusconiana. Giusto, doveroso. Ma per certi aspetti anche alquanto ipocrita. Proprio perché in fondo gli squadristi del web (che certo non hanno bisogno di modelli per scatenarsi, sempre anonimamente) che si scagliano contro il bersaglio di turno, destra o sinistra non conta, personaggio pubblico o no, sono quantomeno incitati dallo spettacolo che sul ring dell’insulto possono offrire anche certi politici, nel generale sdoganamento dell’invettiva, delle parole lanciate solo per ferire, del gesto incivile e dozzinale.

Così, dalla mortadella affettata e dallo champagne stappato nell’aula del Senato per festeggiare sguaiatamente la scaduta di un governo, al “vaffa…” diventato logo del principale partito della pensiola, al “ricettatore” affibbiato al rivale di partito in fuga, al genio dell’arte che nei talk show pensa di imporsi urlando le sue minacciose ingiurie, alle barzellette sulla rivale politica non proprio bellissima, allo schietto e pesante razzismo anti-immigrati. In una trasversalità che tocca quasi tutti gli schieramenti. E mettiamoci anche qualche programma radiofonico (persino dell’emittente della Confindustria) che fa il pieno di ascolti quando pigia volenterosamente sull’acceleratore delle offese verbali, spontanee o astutamente sollecitate.

Dalla grillina Deborah Billi che alla morte di Faletti twitta che “è morto Giorgio, purtroppo non quello giusto” con riferimento all’ex presidente Napolitano, al velenoso D’Alema che in una scazzotatura verbale con Brunetta definisce l’avversario “energumeno staccabile” con riferimento alla sua statura. E’ una sorta di gara a chi la dice più grossa e pestifera. Si può anche sorridere di tutto questo, senza però lamentarsi, poi, degli effetti del cattivo esempio di chi dovrebbe, anche per ruolo pubblico, usare un linguaggio magari duro ma corretto, in un’aula politica, in uno studio televisivo, ai bordi di un campo sportivo.

Alzare un argine contro la parte (purtroppo non esigua) dei beceri senza nome della “rete” sembra impresa impossibile. Chiederlo a certi personaggi pubblici dovrebbe essere possibile. Ma bon c’è da farsi illusioni. Così, nello stesso giorno, sulla stessa piazza in cui “mamma Meloni” dà il suo roseo annuncio, ecco che un altro ex neofascista, Gasparri, fa la battuta del secolo a un disabile: “Guarda che questo è il family day, non l’handicappato day”.

Del resto, siamo pur sempre nel Paese in cui addirittura la Corte Suprema, con una complessa spiegazione tecnico-giuridica, pochi giorni fa ha sentenziato che “l’insulto via e-mail non è reato”.

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