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Marco Cappato a processo per la morte di Dj Fabo

Oggi, 8 novembre, è iniziato il processo a Marco Cappato. L’attivista di Radicali Italiani e dell’associazione Luca Coscioni per la difesa dei diritti civili, rischia fino a dodici anni di carcere per aver accompagnato dj Fabo, Fabiano Antoniani, in una clinica svizzera per il suicidio assistito. 

Marco Cappato, appena rientrato in Italia, si è autodenunciato ai Carabinieri, descrivendo i fatti. In un primo momento la Procura, applicando norme costituzionali italiane e convenzioni internazionali della Corte europea dei diritti umani, ha richiesto l’archiviazione del fascicolo a suo carico. Il Giudice per le indagini preliminari, al contrario – in base alla legge italiana, che risale agli anni ’30 – ha rinviato Cappato a giudizio. Cappato è imputato per il reato di aiuto al suicidio e, secondo il gip, per aver rafforzato l’intento suicidiario di Fabiano Antoniani. Nonostante il dj abbia rivolto un appello al Presidente della Repubblica Mattarella, nel quale dichiarava fermamente le sue intenzioni e le motivazioni della sua decisione. Cappato, di risposta, ha rinunciato all’udienza preliminare – che sarebbe avvenuta a porte chiuse – per andare rapidamente a processo, un processo pubblico, presso la Corte d’Assise. Per l’attivista radicale si tratta di una battaglia per tutti i casi simili a quello di Fabiano Antoniani.

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La legge che regola la materia dell’eutanasia in Italia venne promulgata durante il regime fascista. Quasi un secolo fa le conoscenze scientifiche non permettevano ai malati terminali di sopravvivere a lungo. Grazie alla medicina moderna questo stadio delle gravi patologie si è allungato ed il numero delle persone tenute in vita artificialmente è considerevolmente aumentato, si stimano migliaia di casi nella penisola. Ogni anno, decine di persone partono dall’Italia verso la Svizzera per l’eutanasia, nella consapevolezza e nel disinteresse delle autorità italiane.

L’appello dei senatori a vita

A metà di ottobre, è un altro caso di eutanasia in Svizzera a riaccende il dibattito. Lo scorso 12 ottobre, giorno in cui il quotidiano La Repubblica pubblica la sua lettera postuma, Loris Bertocco muore in Svizzera. La storia di Loris colpisce nuovamente l’opinione pubblica e provoca la reazione di un gruppo di senatori a vita tra cui Renzo Piano, Carlo Rubbia, Elena Cattaneo e Mario Monti. I senatori lanciano un appello congiunto, sollecitando il parlamento a mettere all’ordine del giorno in Senato la votazione del decreto di legge sul biotestamento, quando restano poche settimane al termine della legislatura. Allo stesso appello si sono uniti anche i Sindaci. L’Associazione Luca Coscioni sta raccogliendo in questi giorni le firme dei primi cittadini italiani. In pochi giorni hanno aderito in 61 tra cui: Virginia Raggi (Roma), Giuseppe Sala (Milano), Luigi De Magistris (Napoli), Chiara Appendino (Torino), Leoluca Orlando (Palermo), Federico Pizzarotti (Parma) e Filippo Nogarin (Livorno).

Il decreto di legge riguarda le «Disposizioni anticipate di trattamento» ed ha ottenuto la prima approvazione alla Camera dei Deputati. Il provvedimento, arrivato in Senato cinque mesi fa è stato bloccato in Commissione Sanità da oltre tremila emendamenti, per lo più ostruzionisti, proposti dai senatori di area cattolica. Non è una legge sull’eutanasia vera e propria ma un passo in avanti per la maggior parte dei casi di coma vegetativo. Il decreto riconosce le disposizioni anticipate e volontarie di trattamento medico.

La strada per l’eutanasia in Italia è molto più tortuosa. Nel Parlamento italiano sono state depositate sei proposte di legge. Una di queste è la proposta di legge di iniziativa popolare promossa dall’Associazione Luca Coscioni, mediante la raccolta di 67.000 firme.
In questa legislatura, il 3 marzo 2016, per la prima volta nella storia del Parlamento italiano si è arrivati al dibattuto sulle «Norme in materia di eutanasia». Il confronto è però morto sul nascere, la materia è rimandata alla prossima, se non alle prossime legislature.

 

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