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La Svizzera italiana e la cucina italiana premiata dall’UNESCO

Spaghetti all'amatriciana.
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La cucina italiana è patrimonio immateriale dell’umanità UNESCO. L’Italia è il primo Paese a cui si riconosce la propria cultura gastronomica come patrimonio da tutelare, nel suo insieme. La notizia non riguarda solo l’Italia. Questa proclamazione, in parte, è una vittoria anche per la Svizzera italiana.

La proclamazione della cucina italiana come patrimonio immateriale UNESCO trova un’eco concreta anche nella Svizzera italiana, dove la cultura gastronomica è profondamente intrecciata con quella della penisola. Questo legame non è solo geografico, ma culturale e storico. E tra tanti, vanta un nome storico simbolico: Maestro Martino, il Principe dei cuochiCollegamento esterno.

“Italia e Svizzera italiana sono unite culturalmente e gastronomicamente, di conseguenza non potranno che esserci ripercussioni positive”

Marta Lenzi Repetto, storica della gastronomia

Nato in Valle di Blenio, Maestro Martino è considerato il primo grande cuoco della cucina moderna. Nel suo pensiero si trovano già i valori oggi riconosciuti dall’UNESCO: la trasmissione orale, la valorizzazione del contesto agricolo, la cucina come forma di sapere popolare. Che questo pensiero sia nato nel cuore del Ticino non è un dettaglio. È la prova che la cucina italiana – prima di essere una questione nazionale – è stata ed è ancora una cultura transfrontaliera, nutrita di scambi, di valli, di ospitalità, di mani e di memoria. Martino de’ Rossi era un cuoco del Rinascimento, ma già parlava una lingua attuale: la lingua della cucina come cultura condivisa, sostenibile e accessibile.

Oggi quel legame resta vivo nei gesti quotidiani, nei piatti della memoria, nei prodotti regionali. Come ha sottolineato Franco Lurà, Presidente di Slow Food TicinoCollegamento esterno, il riconoscimento della Cucina italiana come patrimonio UNESCO è anche uno stimolo e una conferma per la Svizzera italiana: “Anzitutto un riconoscimento al settore culinario, e nella fattispecie alla cucina italiana che è di qualità, non può che far piacere, non può che essere utile anche per la cucina regionale come quella della Svizzera italiana. La cucina italiana è fatta di regioni, e la nostra realtà è parte integrante di questo mosaico. Di riflesso, anche i nostri cuochi, produttori e ristoratori possono sentirsi coinvolti: è un brindisi condiviso”.

Lurà ha anche evidenziato come la proclamazione possa offrire nuove opportunità per valorizzare la cucina tradizionale ticinese, a patto di non snaturarne le specificità: “Slow Food Ticino continuerà a mettere al centro la territorialità, il chilometro zero, l’attenzione all’ambiente e agli aspetti sociali. Ma una collaborazione culturale più stretta con il contesto italiano non può che far bene. La nostra cucina affonda le radici nelle tradizioni del Nord Italia, soprattutto lombarde e piemontesi. L’impianto è condiviso, anche se ogni territorio vi aggiunge le sue sfumature locali”.

“La cucina della Svizzera italiana, allora come oggi, non aveva confini”

Il legame culturale e gastronomico tra Italia e Svizzera italiana non si limita alla figura di Maestro Martino e alla regionalità. Come spiega Marta Lenzi Repetto, storica della gastronomia e project manager per Sapori TicinoCollegamento esterno, già in epoca romana con la Raetia e la Gallia Cisalpina, passando poi per l’Insubria e lo Stato di Milano, i territori oggi chiamati Ticino, Lombardia e Grigioni condividevano rotte, merci e abitudini alimentari.

“Sin dai tempi di Maestro Martino si è sviluppata una lunga tavola virtuale che percorre tutto il territorio sino al Sud Italia, in un verso e nell’altro”

Marta Lenzi Repetto, storica della gastronomia

Martino, dunque, fu certo una figura di collegamento tra cultura gastronomica italiana e quella delle nostre zone, ma non fu il solo. Lenzi Repetto ricorda le tante storie di migrazione gastronomica che hanno segnato i secoli: pasticceri e cioccolatieri partiti dalle valli ticinesi hanno lasciato tracce profonde a Firenze, Genova, Milano e persino in Sicilia.

“In pieno Illuminismo, Torino diventò la capitale europea del cioccolato grazie anche al contributo di artigiani bleniesi e, successivamente, dei Valdesi che avviarono la produzione industriale, afferma Lenzi Repetto”. Il bleniese Giovanni Martino Bianchini, ad esempio, costruì nel 1819 una macchina per tritare cacao e zucchero ancora oggi visibile presso lo stabilimento Caffarel di Luserna San Giovanni, nel torinese. E non solo: nel Sud Italia gli emigranti ticinesi introdussero la sterilizzazione del latte e l’uso di burro, panna e crema nella pasticceria, trasformando profondamente la tradizione dolciaria locale.

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Ma i racconti di Marta Lenzi Repetto non si fermano qui e ci portano ai porti genovesi, dove gli svizzero italiani furono anche mediatori gastronomici: “Nei secoli passati, molti ticinesi per lungo tempo lavorarono al porto di Genova come camalli (facchini) dell’olio. Fu una opportunità per diffondere nei paesi alpini i prodotti coloniali e non solo: pasta, olio, olive, capperi, fichi, carciofi, dolci canditi, vini liquorosi”. 

Dunque, più che un riflesso lontano, quello dell’UNESCO è un riconoscimento che rafforza la consapevolezza di far parte di una cultura gastronomica comune, che attraversa i confini e si nutre di differenze locali. Un’opportunità per la Svizzera italiana di farsi conoscere meglio anche nel racconto internazionale del gusto.

Negli ultimi decenni, il cibo — non solo come prodotto, ma come insieme di pratiche, comunità, saperi e tradizioni — è diventato per l’UNESCO un terreno legittimo di tutela del patrimonio immateriale. Non semplici ricette, ma veri e propri saperi o sistemi gastronomici in cui si coltiva, si cucina, si celebra, si condivide il cibo. Eccone un accenno, con qualche esempio:

1. Messico – Cucina tradizionale messicana (2010)
Un sistema gastronomico radicato nelle pratiche agricole indigene, nella ritualità e nell’uso di ingredienti autoctoni come mais, fagioli, amaranto e peperoncino.
2. Francia – Pasto gastronomico dei francesi (2010)
Il pasto inteso come rito sociale: dall’aperitivo ai formaggi, è il senso della sequenza, della convivialità e della celebrazione delle stagioni.
3. Italia, Cipro, Croazia, Grecia, Marocco, Spagna e Portogallo – Dieta mediterranea (2010)
4. Giappone – Washoku, cucina tradizionale giapponese (2013)
Una filosofia alimentare che valorizza l’armonia con la natura, la stagionalità e la sobrietà estetica.
5. Corea del Sud – Cultura del kimchi (2013)
Non solo un piatto, ma una tradizione collettiva che prevede la preparazione stagionale del kimchi, come rito sociale e familiare.
6. Turchia e paesi balcanici – Cultura del caffè turco (2013)
Legata alla socialità e all’ospitalità, una preparazione che coinvolge sapere, rituale e comunità.
7. Belgio – Cultura della birra belga (2016)
Un patrimonio tecnico e culturale legato alla fermentazione, alla diversità regionale e al ruolo conviviale della birra nella società.
8. Azerbaigian, Iran, Turchia – Arte del pane lavash (2016)
Dalla preparazione alla cottura, il lavash è parte di un sapere collettivo condiviso tra famiglie e comunità.
9. Marocco – Cucina del couscous (2020)
Una tradizione che attraversa il Maghreb e mette in relazione comunità e territori, tramandata da generazioni di donne.
10. Uzbekistan – Cultura del Plov (riso speziato) (2016)
Simbolo dell’ospitalità uzbeka, il plov è preparato in grandi occasioni come elemento identitario della collettività.
11. Georgia – Metodo tradizionale di vinificazione in qvevri (2013)
Un esempio di cultura del vino che unisce tecnica, paesaggio e ritualità.

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