La famiglia ticinese che cambiò l’arte a Firenze

Giocondo e Grato Albertolli portarono nella città dei Medici uno stile nuovo, sobrio e luminoso. La loro rivoluzione segnò la fine del rococò e l’inizio di un gusto moderno in Italia.
Firenze, 1770. Due fratelli ticinesi varcano le porte della città dei Medici, portando con sé l’eredità di Bedano, un minuscolo villaggio sulle colline sopra Lugano dove da generazioni si formano scalpellini, stuccatori e maestranze d’arte. Giocondo Collegamento esternoe Grato Albertolli vengono da un mondo di cave e cantieri, di lunghi inverni trascorsi a modellare il gesso e di primavere in viaggio per l’Europa, come tanti altri artigiani della Svizzera italiana. Entrano in punta di piedi alla corte di Pietro Leopoldo, ma ben presto diventano protagonisti di una rivoluzione artistica che segna il tramonto del rococò e l’alba di un nuovo gusto moderno.
Uno stile rivoluzionario
“Questi stucchi portano una mano particolare, un mix tra la tradizione ticinese e quella svizzera, e il merito di aver introdotto il nuovo stile neoclassico in Italia spetta a due fratelli stuccatori ticinesi, Giocondo e Grato Albertolli”, spiega a tvsvizzera.it Enrico Colle, direttore del Museo StibbertCollegamento esterno di Firenze, che agli Albertolli ha dedicato studi e ricerche.
Firenze, in quegli anni, era ferma a un gusto decorativo che altrove iniziava a declinare. Il rococò, con le sue curve dorate e i motivi esuberanti, appariva ormai come il linguaggio dell’eccesso. Pietro Leopoldo, granduca riformista, voleva cambiare non solo le leggi e l’amministrazione, ma anche il volto artistico del suo Stato. Sognava stanze più sobrie, luminose, ordinate, che riflettessero lo spirito razionale dell’Illuminismo. Ed è qui che entrano in scena i due fratelli ticinesi.
>>> L’intervista a Enrico Colle:
La scelta che rompe col rococò
Giocondo, nato nel 1742, si era formato a Parma sotto l’insegnamento dell’architetto francese Petitot, teorico di un’arte misurata, ispirata al Rinascimento e alla classicità. La svolta arriva nel 1770. “Nel suo diario, Albertolli racconta che quell’anno venne chiamato alla corte di Firenze per decorare con stucchi alcuni appartamenti della Villa del Poggio Imperiale, utilizzando disegni alla francese arrivati da Vienna. Questa chiamata rappresentò per lui uno dei momenti più importanti della sua vita”, ricorda Colle.
All’inizio i loro stucchi risentono ancora del gusto tardo-rococò dei modelli viennesi. Ma Giocondo compie un gesto rivoluzionario: decide di lasciare gli stucchi bianchi, senza dorature. È un taglio netto con l’opulenza barocca. La sobrietà, l’eleganza silenziosa, diventano il nuovo ideale estetico della corte. Pietro Leopoldo apprezza e incoraggia questo stile che parla di ragione, ordine, chiarezza.
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Il ritorno a Firenze e la maturità
“Albertolli era entusiasta di lavorare a Firenze proprio per poter studiare da vicino i grandi maestri del Rinascimento”, sottolinea Colle. E dai maestri fiorentini riprende il gusto per la misura, fondendolo con l’armonia classica studiata nei suoi viaggi a Roma e Napoli tra il 1772 e il 1774, dove osserva da vicino architetture antiche e i tesori di Pompei ed Ercolano.
Quando torna a Firenze, il suo stile è ormai maturo. Ottiene nuovi incarichi: decorare sale della Villa del Poggio Imperiale, del Palazzo Pitti e della Galleria degli Uffizi. Qui realizza uno dei suoi capolavori, la Sala della Niobe, destinata a ospitare il gruppo scultoreo dei Niobidi. La scelta decorativa è radicale: pochi ornati, colori chiari, spazio e luce per esaltare le statue senza distrazioni superflue.
Questo nuovo gusto segna la fine di un’epoca. Non è un caso che nel 1779 Giocondo, insieme all’architetto Piermarini, torni a Roma e Napoli “per rivedere gli amici di Firenze, di Roma e di Napoli, e per osservare se qualche cosa di nuovo era stato fatto”, come annota nella sua autobiografia. L’Italia si sta muovendo verso il neoclassicismo, e gli Albertolli sono tra i pionieri di questa svolta.
Ben presto Milano lo reclama. Piermarini lo chiama a decorare il nuovo Palazzo Reale. Giocondo si divide tra le due città, lasciando a Firenze il fratello Grato e i suoi allievi a completare i lavori. A Milano diventa professore all’Accademia di Brera, formando generazioni di ornatisti e influenzando persino i creatori dello stile Impero, Percier e Fontaine, architetti della corte napoleonica.
“Il grande salone del Poggio Imperiale rimane uno degli esempi più significativi di decorazione neoclassica – ricorda Colle – in cui si abbandonano completamente gli stilemi rococò e il neoclassicismo francese ancora venato di barocco, per riscoprire i temi dell’antichità e del Rinascimento”.

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