Carol Rama e Marisa Merz, due pezzi grossi del Novecento italiano in mostra a Berna

Il Kunstmuseum ospita fino all'estate due mostre monografiche dedicate alle due artiste torinesi le cui lunghe e prolifiche carriere non sono state celebrate in vita quanto avrebbero meritato.
I nomi di Marisa Merz (1926-2019) e Carol Rama (1918-2015) non hanno ancora raggiunto la notorietà che probabilmente avrebbero meritato. Eppure, il contributo di queste due artiste italiane all’arte novecentesca è notevole e il Kunstmuseum di BernaCollegamento esterno ha infatti deciso di dedicar loro due importanti monografie.

A raccontarci delle loro gesta è la storica dell’arte Livia Wermuth, curatrice di entrambe le esposizioni al museo d’arte bernese: “Carol Rama, ribelle della modernitàCollegamento esterno” e “Marisa Merz, ascoltare lo spazioCollegamento esterno”. Quella sul lavoro di Rama è la più grande retrospettiva a lei dedicata mai presentata in Svizzera e comprende circa 110 opere realizzate in 70 anni di carriera. La monografia di Merz non è la prima ma è la più importante esposta nella Confederazione negli ultimi 30 anni.
Malgrado avessero vissuto entrambe a Torino negli stessi anni, le due donne non hanno avuto scambi tra loro né nel privato né nel lavoro.
Si possono tuttavia identificare alcune similitudini che le accomunano: quasi coetanee, Rama e Merz hanno entrambe avuto una carriera artistica lunga e prolifica costruita da autodidatte; hanno frequentato ambienti artistici torinesi, per quanto distinti, e – forse soprattutto – non hanno acconsentito a venire incasellate in categorie specifiche.
L’Arte povera di Merz
Le installazioni, i quadri e gli oggetti di Marisa Merz – nata Maria Luisa Truccato – spesso non venivano firmati, titolati o datati, racconta Wermuth, perché potevano sempre potenzialmente evolvere in qualcosa di nuovo e di diverso, essere parte di un flusso.
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Esponente di spicco, così come il marito Mario, del movimento dell’Arte povera, Merz nelle sue opere passa da soggetti sacri ad altri profani. Ha usato materiali fino ad allora non convenzionali al mondo artistico, come l’alluminio, il rame, l’argilla, il filo di nylon o il tessuto e li ha trasformati da oggetti di uso quotidiano in forme uniche.
Una volta terminati, questi venivano poi inseriti in uno spazio, un’installazione o un insieme di opere e lì potevano ancora mutare e prendere forme e significati diversi. Da qui, il titolo della mostra “Ascoltare lo spazio”.
Dipingere per guarire
Anche per Carol Rama, nome d’arte di Olga Carolina Rama, una delle principali specificità è quella del cambiamento, ma in modo diverso. Rama è infatti stata un’artista il cui stile si è trasformato, talvolta drasticamente, con cadenze di circa dieci anni: un’infinità per una carriera durata quanto la sua, fa notare la curatrice del Kunstmuseum.
“La pittura mi permetteva di sentirmi meno infelice, meno povera, meno bruttina, e anche meno ignorante… Dipingo per guarirmi”.
Carol Rama
Ma non ha aderito a nessuno dei principali movimenti artistici contemporanei, fatta eccezione, negli anni Cinquanta, del ramo torinese del Movimento Arte Concreta.
Il non voler essere inquadrata in correnti artistiche, classi o contesti sociali è palesato dall’ammonimento che in qualche modo lanciava al pubblico quando parlava delle proprie opere: non pensate di avermi capita, la mia arte potrebbe essere quello che sembra, ma potrebbe anche essere tutt’altro.
Le donne che vivevano nella stessa clinica psichiatrica che accoglieva anche la madre l’hanno ispirata, ancora ventenne, ad affrontare attraverso l’arte visiva temi come la nudità, la degenza e la malattia mentale. “Il lavoro, la pittura, per me, è sempre stata una cosa che mi permetteva poi di sentirmi meno infelice, meno povera, meno bruttina, e anche meno ignorante… Dipingo per guarirmi”, ha dichiarato la stessa Rama in un’intervista del gennaio 1997 apparsa in Impresa per l’arte contemporanea.
Le opere di quell’epoca sono prevalentemente acquarelli, pieni di sessualità esplicita al punto da valerle la chiusura per oscenità, ancora prima dell’inaugurazione, da parte della polizia di una mostra che era prevista a Torino nel 1945.
La mix di stili di Rama
Ai nudi femminili delle stanze di ospedale, nel gruppo di tele intitolate “Appassionata”, si sono aggiunte provocatorie pose con gambe divaricate, lingue esibite e falli eretti.
Negli anni seguenti – gli anni Sessanta e Settanta – Rama è passata ai ritratti, tendenzialmente senza volto, e all’arte astratta, culminata con numerose opere di bricolage. Ma è anche tornata a dipingere la sessualità femminile: grandi vulve che dominano tele pregne di rossi e neri. E poi ancora materiali: uno su tutti la gomma, omaggio al lavoro del padre, imprenditore nel ramo degli accessori per automobili.
Dagli archivi: un’intervista a Carol Rama rilasciata nel 1996 ai microfoni della RSI e ripubblicata nel 2015 dopo la morte:
Le origini
Carol Rama ha sempre vissuto nel suo studio, una mansarda nel centro di Torino in cui è riuscita a campare della sua arte, ma in maniera modesta e grazie al sostegno materiale della sua cerchia composta da letterati, intellettuali e creativi.
Nata benestante, figlia unica di un imprenditore, ha conosciuto in giovane età la rovina con il fallimento dell’azienda paterna. Una disgrazia per la famiglia, che portò al ricovero della madre e anche del padre, per un breve periodo. Quest’ultimo morì dopo poco ed è stata l’artista stessa a rivelare che si è trattato di suicidio.
“L’artista è già un ruolo stabilito come la moglie, il figlio. Ma io non ci sto mica in questi ruoli, ruoli separatori, elenchi…”.
Marisa Merz
Contrariamente a Rama, che non si è mai sposata e non ha avuto figli, Marisa Merz ha invece condiviso la vita artistica con il marito Mario. La coppia ha aderito al movimento denominato Arte povera, di cui Marisa Merz è stata l’unica rappresentante femminile.
Grazie al suo contributo sono state introdotte nell’arte contemporanea tecniche provenienti dall’artigianato e da attività domestiche come il cucito, dando così una dignità artistica a questo tipo di abilità.
“L’artista è già un ruolo stabilito come la moglie, il figlio. Ma io non ci sto mica in questi ruoli, ruoli separatori, elenchi…”, diceva Merz nel 1985 rimarcando come anche l’idea di femminismo che rifiutava il lavoro domestico o familiare non le appartenesse.
Un’indebita dimenticanza
Malgrado avesse avuto, fino alla sua morte nel 2003, il supporto del marito e anche quello della loro cerchia di amici artisti, e nonostante l’allestimento di mostre e riconoscimenti, quando si parla della nascita della corrente dell’Arte povera, il nome di Marisa Merz è spesso stato ingiustamente omesso.
Le più importanti esposizioni personali organizzate in vita sono state quelle al Centre Pompidou a Parigi nel 1994 e allo Stedelijk Museum ad Amsterdam nel 1996. Nel 2017, il Metropolitan Museum di New York le ha dedicato la mostra retrospettiva “The Sky is a Great Space”.
Nel 2020, la figlia Beatrice, direttrice della Fondazione Merz ha poi curato una mostraCollegamento esterno monografica ospitata dal MASI di Lugano.
Nel 2013, Marisa Merz viene insignita del Leone d’oro alla Biennale di Venezia.
Riconoscimenti tardivi
Lo stesso riconoscimento era stato attribuito dieci anni prima, nel 2003, anche a Carol Rama. Ma l’artista lo ha accolto con rabbia. “Mi sono incazzata, sì, perché se è vero che sono così brava non capisco perché abbia dovuto fare tanta fame, anche se sono donna”, ha commentato Rama dopo aver ricevuto il premio.
Il credito al suo lavoro inizia infatti ad arrivare solo superati i sessant’anni a livello nazionale e dovrà aspettare di averne quasi ottanta per le mostre internazionali. Questo l’ha portata a dover vivere sempre in maniera molto umile e a dipendere dal supporto della sua rete sociale.
Il 14 gennaio 2010, al Quirinale, Carol Rama ha ricevuto dal presidente italiano Giorgio Napolitano il prestigioso Premio del presidente della Repubblica.
Entrambe le mostre sono state, come accennato in precedenza, seguite dalla curatrice del Kunstmuseum di Berna Livia Wermuth. “Marisa Merz, ascoltare lo spazio” è realizzata in cooperazione con il Lille Métropole e con la Fondazione Merz. La sua chiusura era inizialmente prevista per il 1° giugno, ma in questi giorni il museo ha deciso di prolungarla fino al 17 agosto 2025. Mentre “Carol Rama, ribelle della modernità” è in collaborazione con la Schirn Kunsthalle Frankfurt e resterà visibile fino al 13 luglio 2025.

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