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Affossata l’iniziativa per abolire la libera circolazione delle persone

gente in stazione
Il popolo svizzero ha detto no all'iniziativa per abolire la libera circolazione delle persone. Ma il tema dell'immigrazione non scomparirà di certo dall'agenda politica. Keystone / Gaetan Bally

Respingendo col 61,7% di 'no' l'iniziativa "per un'immigrazione moderata", il popolo svizzero ha confermato questo fine settimana di avere a cuore le relazioni con l'Unione Europea. Se fosse stato accettato, il progetto promosso dall'Unione democratica di centro per abolire la libera circolazione avrebbe messo in pericolo altri accordi tra Berna e Bruxelles.

Contrariamente al 2014, quando a sorpresa riuscì a convincere la maggioranza dei votanti a dire ‘sì’ all’iniziativa “contro l’immigrazione di massa”, questa volta l’Unione democratica di centro (UDC, destra sovranista) non ce l’ha fatta. La proposta di abolire la libera circolazione delle persone è infatti stata respinta da 22 cantoni su 26 e dal 61,7% dei votanti.

Il ‘no’ di oggi non giunge inaspettato, poiché tutti i sondaggi prima della votazione davano poche chance al testo promosso dall’UDC e dall’Associazione per una Svizzera neutrale e indipendente, che ritenevano poco soddisfacente la legge elaborata per attuare l’iniziativa accettata sei anni fa.

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Ticino in controtendenza

Come ci si poteva aspettare, anche questa volta il Ticino si è espresso in modo diverso rispetto alla maggioranza degli altri cantoni svizzeri. Il 53,1% dei votanti ha infatti accolto il testo dell’UDC.

Un’ulteriore prova che la libera circolazione è assai indigesta nel cantone a sud delle Alpi, dove ogni giorno entrano a lavorare oltre 60’000 frontalieri. Questa situazione causa forti tensioni sul mercato del lavoro, in particolare per la pressione esercitata sui salari. Tuttavia, l’appoggio dato al testo dai ticinesi è inferiore rispetto a quello, ad esempio, del 2014, quando l’iniziativa “contro l’immigrazione di massa” conquistò quasi il 70% dei consensi.

Il risultato ticinese odierno è stato ben diverso in altri cantoni che approfittano della manodopera frontaliera. A Ginevra, ad esempio, il 69% dei votanti ha bocciato l’iniziativa. A Basilea-Città la proporzione di ‘no’ è ancora più elevata (74,6%), così come a Neuchâtel (71,1%) e nel canton Vaud (70,9%).

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“Davide contro Golia”

“Ha vinto la clausola ghigliottina”, ha reagito a caldo la vicepresidente dell’UDC svizzera Céline Amaudruz. La convinzione che la fine della libera circolazione avrebbe compromesso tutti gli accordi bilaterali con l’UE ha fatto paura ai cittadini, ha affermato la parlamentare federale.

Per il presidente del partito, il ticinese Marco Chiesa, si è trattato di “una lotta di Davide contro Golia”. L’UDC era infatti l’unico dei grandi partiti svizzeri a sostenere l’iniziativa. A giocare un ruolo – ha proseguito Chiesa – è stato anche il coronavirus, poiché la popolazione è attualmente confrontata con le incertezze dello sviluppo economica.

Un altro sì alla via bilaterale

Nel campo dei vincitori, molti hanno sottolineato proprio questo aspetto, ovvero che i timori per la crisi causata dal coronavirus abbiano convinto molti elettori a non correre il rischio di un’incertezza supplementare.

Per la ministra di giustizia e polizia Karin Keller-Sutter, con il chiaro “no” all’Iniziativa per la limitazione i cittadini hanno voluto puntare sulla stabilità economica nella difficile situazione suscitata dalla crisi del coronavirus. Il voto odierno rappresenta però soprattutto anche l’impegno del paese per la via bilaterale nei suoi rapporti con Bruxelles.

Soddisfazione è stata naturalmente espressa anche dal mondo economico. “La popolazione era consapevole di votare sul proseguimento del percorso bilaterale e non sull’immigrazione”, ha affermato Monika Rühl, direttrice di economiesuisse. Sul fronte dei lavoratori, l’Unione sindacale svizzera (USS) ha sottolineato che contrariamente a sei anni fa il Governo ha ascoltato le preoccupazioni dei partner sociali, elaborando ad esempio una rendita ponte per i disoccupati di più di 60 anni.

Il risultato della votazione era atteso anche a Bruxelles. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha parlato di un “segnale positivo per continuare a consolidare e approfondire” la relazione tra Svizzera e UE. Nella Confederazione, vivono circa 1,4 milioni di cittadini europei e 450’000 svizzeri risiedono in un paese dell’Unione.

“Vince il no alla proposta di limitare la libera circolazione delle persone: bella domenica democratica ed europea nel paese dei referendum”, ha dal canto suo commentato su Twitter Paolo Gentiloni, commissario europeo all’economia ed ex premier italiano.

Lavoratori europei nel mirino

La proposta dell’Unione democratica di centro mirava a frenare l’arrivo di lavoratori europei in Svizzera. Per il partito di destra, la libera circolazione ha avuto effetti nefasti per la Confederazione.

In caso di ‘sì’, i lavoratori europei non avrebbero più potuto avere libero accesso al mercato del lavoro elvetico, ma sarebbero stati sottoposti a un sistema di contingenti, così come accadeva prima dell’entrata in vigore dell’accordo nel 2002.

Come sei anni fa, quando il popolo accettò l’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa” promossa già dall’UDC, il più grande partito svizzero si è trovato da solo contro tutti. Da sinistra a destra, i principali partiti si sono opposti al testo in votazione. Anche i sindacati, spesso critici nei confronti di una libera circolazione che provoca fenomeni di dumping salariale, hanno espresso un ‘no’ deciso nei confronti dell’iniziativa. Anche il Governo ha raccomandato di respingerlo e la ministra di giustizia e polizia Karin Keller-Sutter ha dichiarato che un eventuale ‘sì’ sarebbe equivalso a una “Brexit svizzera”.

L’accordo di libera circolazione è infatti legato tramite la cosiddetta ‘clausola ghigliottina’ ad altri sei trattati tra Svizzera e UE, che garantiscono in particolare l’accesso al mercato unico. Se uno di questi accordi cade, anche gli altri sono abrogati.

Dei rapporti con l’UE da ridefinire

Il voto odierno non mette di certo fine alle discussioni sul futuro dei rapporti tra Svizzera e UE. Sia a Berna che a Bruxelles si attendeva l’esito di questa iniziativa per valutare come sviluppare ulteriormente le relazioni.

Da anni sul tavolo dei negoziati vi è l’accordo quadro istituzionale, che dovrebbe consentire di adeguare in modo più dinamico e rapido gli accordi bilaterali. In pratica, ogni qualvolta che vi è uno sviluppo del diritto dell’UE in uno dei settori toccati dall’accordo quadro, non ci sarebbe bisogno di nuovi negoziati tra Svizzera e UE per adattare il trattato corrispondente. Già oggi la Svizzera riprende regolarmente numerosi sviluppi del diritto europeo, ma, agli occhi di Bruxelles, ciò avviene spesso troppo lentamente.

Diversi punti di questo accordo quadro sono però ancora molto controversi. In Svizzera preoccupano in particolare l’allentamento delle misure di accompagnamento per contenere il fenomeno del dumping salariale, la questione degli appalti e la direttiva sulla cittadinanza dell’UE. Non da ultimo, vi è poi la questione del tribunale arbitrale che sarà incaricato di dirimere eventuali contenziosi tra Berna e Bruxelles. Il timore è che le decisioni di una simile istanza possano intaccare la sovranità della Svizzera e delle decisioni prese grazie alla democrazia diretta.

Nelle prossime settimane – ha precisato Karin Keller-Sutter – il Governo elvetico fisserà la posizione della Svizzera prima di tornare a discutere con Bruxelles sui punti ancora in sospeso.

UDC-UE, una lunga storia

Quella tra Unione Europea e Unione democratica di centro è una lunga storia. Il partito della destra conservatrice e sovranista da quasi trent’anni si batte affinché la Svizzera mantenga le distanze con Bruxelles.

La prima storica votazione risale al 6 dicembre 1992, quando gli svizzeri dissero ‘no’ all’accordo sullo Spazio economico europeo. Una “domenica nera” per il Governo federale, gli ambienti economici e diversi partiti che sostenevano l’adesione allo SEE, ma non per l’UDC, in prima linea nella campagna dei contrari.

Negli anni successivi, gli svizzeri hanno invece più volte votato in senso diverso rispetto a quello auspicato dall’UDC, accettando ad esempio gli accordi bilaterali con l’UE (2000), la partecipazione della Svizzera all’accordo Schengen/Dublino (2005), l’estensione della libera circolazione ai dieci nuovi membri dell’UE (2005) o ancora il cosiddetto miliardo di coesione (2006).

Nel febbraio 2014, l’UDC è però di nuovo riuscita ad assestare un colpo alle relazioni tra Svizzera e UE: la sua iniziativa denominata “contro l’immigrazione di massa” è infatti stata accettata dal 50,3% dei votanti.

Traduzione di Armando Mombelli

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