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Vent’anni fa l’inizio della fine di Swissair

Operai tolgono l insegna Swissair
Per la Svizzera, a livello di immagine, il grounding di Swissair fu un brutto colpo. Keystone / Steffen Schmidt

"Per motivi finanziari, la flotta Swissair non può più garantire i voli previsti". Vent'anni fa, questo annuncio risuonò negli altoparlanti dell'aeroporto di Zurigo, certificando il collasso della compagnia di bandiera svizzera, nell'incredulità generale.

Il 2 ottobre 2001, circa 260 aerei con i loro 19’000 passeggeri rimasero bloccati negli aeroporti: Swissair non aveva la liquidità nemmeno per il cherosene.

Il grounding fu l’atto finale del crollo di una delle compagnie aeree più rinomate al mondo, il cui dissesto finanziario si trascinava da mesi. La messa a terra, infatti, fu la conseguenza di scelte strategiche sbagliate, ma anche di eventi imprevedibili, come gli attentati dell’11 settembre a New York e Washington che soltanto 20 giorni prima avevano sconvolto il settore dell’aviazione.

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La cronologia dei fatti

Le difficoltà erano iniziate dopo il 6 dicembre 1992, quando la Svizzera votò contro l’ingresso nello spazio economico europeo e Swissair non poté più avere libero accesso al mercato comunitario. Si puntò allora alle alleanze con le altre compagnie: nacque così il progetto Alcazar per la fusione di Swissair, Austrian Airlines, l’olandese KLM e la scandinava SAS. Un progetto che però naufragò poco dopo a causa delle resistenze dei singoli Paesi.

Fallito Alcazar, la direzione virò sulla “strategia hunter”: un piano di acquisizione massiccia di quote di altre compagnie nazionali e regionali. Una via che si rivelò disastrosa e che nel 2001 venne abbandonata, mentre il direttore Philippe Bruggisser venne licenziato con effetto immediato. Al suo posto arrivò il direttore finanziario di Nestlé, Mario Corti. Per cercare di recuperare liquidità, la nuova dirigenza iniziò a cedere partecipazioni, ma non bastò.

Il 29 settembre 2001, Corti lanciò l’allarme: con un debito di 15 miliardi di franchi, Swissair non sarebbe stata in grado di garantire gli stipendi di ottobre. Credit Suisse e UBS – che erano le maggiori creditrici della compagnia e che ebbero un ruolo controverso nella gestione della crisi – si assicurarono il controllo di Crossair, la principale società regionale del gruppo, per poi avviare un piano di ristrutturazione basato sull’acquisizione delle attività aeree della capofila sull’orlo del collasso.

Il gruppo, ormai destinato alla liquidazione, annunciò 2’560 licenziamenti (di cui 1’750 in Svizzera) e una riduzione della flotta da 162 a 134 aerei. Intanto, gli sforzi portati avanti dal Consiglio federale per scongiurare il tanto temuto grounding con l’intervento delle banche non portarono i risultati sperati. E il 2 ottobre, la compagnia comunicò la sospensione di tutti i voli.

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Il dopo Swissair

Per la Svizzera, a livello di immagine è stato un brutto colpo, come ricorda il giornalista economico RSI, Luca Fasani. Ma alla fine, complice anche la portata degli eventi che in quelle settimane stavano scuotendo il mondo, la Confederazione “ne è uscita senza troppi danni, almeno vista dall’estero”. A livello economico, la perdita è stata in parte compensata dalla creazione di Swiss, una compagnia che però non ha la stessa massa critica a livello occupazionale e soprattutto non è indipendente, essendo parte del gruppo Lufthansa.

Alla luce dell’esperienza del grounding, tuttavia, la Svizzera è riuscita a ottenere delle garanzie su ciò che è risultato importante proteggere: l’aeroporto di Zurigo e i collegamenti internazionali. Collegamenti che – come si è visto in questi anni – è possibile garantire anche senza Swissair. Anche se con un peso, simbolico e politico, diverso.

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